LA ODESSA ITALIANA, DI ERIKA PERICO





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               ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITÀ di BOLOGNA



SCUOLA DI LINGUE E LETTERATURE, TRADUZIONE E INTERPRETAZIONE

                                                           SEDE DI FORLÌ

                                                    CORSO di LAUREA in

                   MEDIAZIONE LINGUISTICA INTERCULTURALE (Classe L-12)

ELABORATO FINALE



La fondazione della città di Odessa: il ruolo determinante degli italiani




 
CANDIDATO                                                                 RELATORE

Erika Perico       
                                        Svetlana Slavkova  


Anno Accademico 2013/2014  Sessione seconda 2



TESI DI LAUREA TRIENNALE


 
Titolo: "La fondazione della città di Odessa: il ruolo determinante degli italiani"   INDICE DEI CONTENUTI

0- Introduzione 
 
 
- 0.1: La mia Odessa.

- 0.2: Presentazione delle fonti.

- 0.3: Come è strutturata la ricerca. 
 
1– XIX secolo: Gli italiani a Odessa? Una vecchia novità.   - 1.1: Anna Makolkin e il suo libro "Storia di Odessa, l’ultima colonia italiana sul Mar Nero".

-1.1.1: Traduzione da "Storia di Odessa, l’ultima colonia italiana sul Mar Nero".

- 1.2: Gli italiani invitati a Odessa fondano la città. 
 
2- Odessa colonizzata dagli italiani, vista attraverso gli occhi di Alexander de Ribas.   -2.1: Alexander de Ribas e la sua "Staraâ Odessa".

-2.1.1: Traduzione da "Staraâ Odessa".

-2.2: Puškin a contatto con la Odessa degli italiani. 
 
3– L’italiano come lingua franca.   -3.1: Nel commercio ..

-3.1.1: Traduzione da "Storia di Odessa, l’ultima colonia italiana sul Mar Nero".

-3.2: …e nella vita di tutti i giorni. 
 
4- Teatro, arte e architettura nell ‘800: gli italiani portano tutto con sè.   -4.1: Trasferimento della cultura italiana su suolo russo: architetti italiani all’opera.

-4.2: Arte-Nostalgia: i dipinti degli italiani odessiti

-4.3: Il Teatro dell’Opera.

-4.3.1: Traduzione da "Il XIX secolo a Odessa" 
 
5- Gli italiani dimenticati.   -5.1: Traduzione da "Storia di Odessa, l’ultima colonia italiana sul Mar Nero".  6- Società Dante Alighieri di Odessa: la presenza italiana fino ad oggi. 3

 





0. INTRODUZIONE 
 
 
 
0.1 LA MIA ODESSA  
Milano, Luglio 2013 – Si può dire che il mio vero Erasmus non sia iniziato il 2 Settembre 2013, data della mia effettiva partenza. Credo sia cominciato tutto un paio di mesi prima. Quel giorno, quell’interminabile coda fuori dal consolato ucraino per quel-timbro-che-per-ottenerlo-non-ti-basta-una-vita (sì, esatto, il visto). Consapevole di ciò che mi aspetta, alle otto sono lì, a cuocere sotto al sole già alto, aspettando che aprano le massicce porte e ci facciano accomodare. Non ci farebbero mai attendere in piedi, di fuori, al sole, dico fra me e me…. Vero? E invece mi sbagliavo. Di grosso. Passa una mezzora, porte ancora chiuse. Una signora mi si avvicina e mi si rivolge con un "Dorogaâ, cara, hai già scritto il tuo nome sulla lista, vero?". Lista? Dove? Come? Perché? Niente da fare, non l’avevo proprio notata. Per terra, sui gradini, ci sono foglio bianco e penna. E sul foglio, già una quarantina di nomi. Ogni trenta minuti circa l’impiegato esce dal suo ufficio, legge i nomi dalla lista e mano a mano si entra per svolgere le pratiche. Dovrei essere fra i primi dieci, invece il mio tempismo (o la loro disorganizzazione?) mi fa scivolare al 44esimo posto. E quando cerco di spiegare la mia situazione all’impiegato che ha fatto capolino sulla porta, lui se la cava con un "Me dispiace, signarina. Èto Ukraina" (questa è l’Ucraina). A sì? Ucraina cosa? L’organizzazione consolare penosa o tu che non mi fai passare avanti sapendo che ne ho il diritto? Fantastico. Cominciamo bene. La donna che in un certo senso mi ha salvata pochi minuti prima cerca gentilmente di attaccare bottone. E quando le spiego la mia situazione, quando le dico che sono una studentessa di lingue, che ho vinto una borsa di studio per Odessa, che parto fra un paio di mesi e che ancora non ho la più pallida idea di come si richieda un visto, lei con un sorriso ingenuo stampato sul viso pensa di tirarmi su il morale con questa frase che non scorderò mai. "Odessa è una città meravigliosa. Sai, è uguale a Napoli". Come scusi?? Napoli?? QUELLA Napoli?? Quella città che tutti associano alla sporcizia, alla mafia, alla corruzione? Quella città che almeno una volta al mese viene citata in televisione per cronaca nera? Mamma mia… il mio non sarà un Erasmus… la mia sarà una missione! E, di nuovo. Anche qui mi sbagliavo.

E’ vero, l’Ucraina non è fra le destinazioni più ambite. Uno non direbbe mai "Ho deciso di farmi un bel viaggio di famiglia. Domani si parte per Kiev". O per Leopoli. O per Har’kov. Così come uno studente che studia russo preferirebbe mete come Mosca o San Pietroburgo per imparare la lingua. Insomma, non ero esattamente partita con il piede giusto. Una volta giunta a destinazione, i problemi burocratici erano all’ordine del giorno. Ottenere il visto a Milano non è stato facile, è vero. Ma povera me. Era solo l’inizio. Le pratiche da sbrigare una volta arrivata a Odessa sono state addirittura peggio. Visite mediche per accertarsi che non avessi pidocchi o chissà quali altre malattie (quando nessuno ci faceva caso se nello studentato gli scarafaggi erano diventati i nostri fedeli compagni di stanza, senza contare le altre mille specie di adorabili insetti nerognoli che ci facevano compagnia durante le ore di studio). Arriva il momento della radiografia al torace. In quell’occasione, una donna sulla sessantina dall’aria tutt’altro che amichevole mi ordina (letteralmente!) di spogliarmi e mi fa entrare in una gelida, enorme scatola metallica (credo che persino in epoca sovietica non si usassero più macchine del genere. Pezzi da museo, ecco cosa sono). Al primo tentativo la radiografia non va a buon fine. Qualcosa si è inceppato. Problemi alla macchina, mi dicono (Sul serio?? Non me lo sarei mai aspettata! Una roba così tecnologica!). Allora non ci penso due volte. Seguo il consiglio di Irina, il mio angelo custode che mi ha seguita passo per passo in quella nuova realtà. "Fatti furba, tu allunga qualche grivnâ, anche solo una ventina, e vedrai. Come per magia, non ti faranno più storie". Per essere il più chiara possibile: la grivnâ è la valuta ucraina, e dieci grivnâ corrispondono a 1€. Dando venti grivnâ (Due euro! Una miseria!) alla donna della macchina, questa si è trasformata in fata gentile e sorridente. E gli esami medici… puff! Non sono più stati un problema. Così come non sono più stati un problema i rigidi orari dello studentato. Una volta capito che ciò che bastava era una barretta di cioccolato offerta alla dejurnaâ (portinaia) di turno, lei si scordava di ogni regola e ci faceva entrare/uscire dall’edificio in qualsiasi momento. All’inizio forse lo facevo con riluttanza, la parola vzâtka (mazzetta) non faceva ancora parte del mio vocabolario. Come con quel taxista, ad esempio. Arrivata all’aeroporto di Odessa, dovevo raggiungere lo studentato in qualche modo. Mi affido al primo taxi che trovo, e con il mio russo un po’ arrugginito (causa l’estate di solo relax) gli сomunico l’indirizzo a cui mi deve portare. Minuti totali di viaggio: 15. Prezzo: 40€. Cosa?? Me l’avevano detto che gli ucraini del posto aguzzano la vista in cerca di quattrini non appena hanno a che fare con stranieri, ma non pensavo fino a questo punto. Quindi sì, dopo essermi trovata in altre situazioni del genere, ho capito che la parola "furbizia" doveva assolutamente entrare a far parte anche del mio di vocabolario.

Tuttavia, l’essere partita dagli aspetti negativi della mia esperienza non deve influenzare il lettore. Ci sono tantissimi lati positivi: non saprei da dove cominciare. Le persone, tanto per dirne una. Semplici, terribilmente povere, e nonostante tutto con un perenne sorriso stampato sulle labbra. Babuška Marina (Babuška? Non so quale sia la giusta traduzione in italiano. Io ho deciso di chiamarla "nonnina". Ha quella connotazione dolce che proprio le si addice) che ogni lunedì e giovedì era fissa lì, davanti allo studentato, a vendere i propri prodotti. Con la sua vecchia Lada rossa carica dei più disparati cibi tradizionali russi e ucraini: vareniki (una sorta di ravioli farciti con patate), pel’meni (anche questi ravioli farciti con carne, verdure, patate. La scelta è soggettiva. I miei preferiti erano quelli con le amarene), piroški (torte salate), golubсy (involtini di cavolo), bliny (crepes alla francese ma più sottili, con carne oppure panna acida), marmellate, zuppe (il borŝ, che invenzione!), frutta e verdura ancora coperta di terra, direttamente dall’orto. Quando arrivava l’ora di pranzo, davanti al suo banchetto si formava una fila immensa, e lei, come una donna d’affari che sa perfettamente come gestire la propria attività, sapeva esattamente a chi toccava, chi veniva prima e chi invece doveva aspettare il turno successivo. Con una sola eccezione: gli italiani erano gli ospiti, dovevano essere serviti prima di tutti. Io adoravo stare con lei, osservarla, mi incuriosiva tantissimo vedere questa grande signora tutta d’un pezzo in azione. E nei momenti in cui non era tanto indaffarata ne approfittavo per scoprire il più possibile, da dove veniva, da quanto faceva questo lavoro, perché. E lei non si tirava mai indietro, era sempre così disponibile a fare due chiacchiere, un po’ di compagnia non le dispiaceva affatto. E fu così che scoprii che Marina vive nei pressi di Anan’iv, una cittadina nella zona settentrionale della regione di Odessa, quasi due ore e mezzo di macchina per raggiungerla. E due volte alla settimana, insieme al marito, affronta tutte quelle ore di strada perché "a Odessa la gente sta bene e può permettersi di comprare le mie cose". Ho deciso di descrivere proprio lei perché credo non ci sia persona più adatta a rappresentare tutte le persone che ho conosciuto durante il mio soggiorno ucraino. Pronte ad aiutarti, gente semplice che ti guarda con aria sognante perché "le ragazze italiane sono dolci e sorridenti". Amiche e rispettive famiglie che facevano a gara a invitarti la domenica a pranzo per farti assaggiare il vero cibo ucraino. Professoresse che, non appena notavano la tua difficoltà, interrompevano la spiegazione per assicurarsi che anche tu fossi al passo con la lezione. Commesse che non perdevano occasione per strapparti qualche informazione su "come è vivere in Europa". Compagni di classe che, quando si raggiungevano temperature improponibili sotto allo zero ( e per un’italiana si può immaginare quale tragedia sia!) si preoccupavano per te, tanto da regalarti guanti e sciarpe "per sopravvivere al loro inverno". Passeggeri della cosiddetta maršrutka (piccoli furgoni, o meglio "scatolette gialle" come le chiamavamo noi, adibiti a trasporto pubblico) che dal fondo del bus si passavano l’un l’altro i soldi per il biglietto, finché arrivavano davanti al guidatore. Questo, non si sa come, fra una telefonata, un’imprecazione e l’attenzione alla guida (quest’ultima veniva a mancare spesso e volentieri), consegnava il resto dovuto al passeggero nelle mani di altri. E potete star certi che il resto arrivava a destinazione meticolosamente, né un centesimo di più, né un centesimo di meno. O ancora, genitori di amiche che ti accompagnano in macchina all’aeroporto perché "non vogliono che paghi ancora 40€ per un taxi" e rimangono a guardare finché ti imbarchi, per controllare che "il loro prezioso pacco italiano sia spedito con cura".

Questa è stata la mia vera Odessa. Questa è stata la mia esperienza-missione. Questa è stata l’Odessa che mi ha sorpresa dall’inizio alla fine, di cui mi sono innamorata e a cui non smetterò mai di pensare. Quindi, per concludere. Quel giorno di Luglio, al consolato di Milano, quando quella donna ha accennato al paragone Odessa-Napoli. Con il senno di poi, con sei mesi di vera cultura e  vita ucraina alle spalle, posso dire che Napoli, in fin dei conti, non è solo sporcizia e crimine. Così come Odessa non è solo corruzione e edifici grigi. C’è tanto da scoprire, tanto da amare. Questo mi ha spinto a interessarmi sempre più al tema che tratterò in questa tesina. E scommetto che la donna del consolato non aveva la ben che minima idea della ragione storica per cui Odessa assomiglia a Napoli. Io fortunatamente l’ho capito. E spero che dopo questa lettura possiate capirlo anche voi.

E’ stato grazie al docente di lingua italiana a Odessa, lo scrittore Fabio Marcotto, che mi sono interessata all’argomento. Consigliata da lui, ho iniziato a leggere libri e articoli che riguardano il "periodo italiano" di Odessa. Tutti aneddoti e informazioni affascinanti: avevo tutta l’intenzione di approfondirli. 

0.2 PRESENTAZIONE DELLE FONTI

Questa ricerca è avvenuta principalmente attraverso la consultazione dei seguenti tre libri:

- " A History of Odessa, the Last Italian Black Sea Colony", di Anna Makolkin.

Titolo tradotto: "Storia di Odessa, l’ultima colonia italiana sul Mar Nero",

Anno di pubblicazione: 2004. Casa editrice: The Edwin Mellen Press, New York.

- "The Nineteenth Century in Odessa – One Hundred Years of Italian Culture on the Shores of the Black Sea (1794-1894)", di Anna Makolkin.

Titolo tradotto: "Il XIX secolo a Odessa – Cento anni di cultura italiana sulle coste del Mar Nero (1794 – 1849)",

Anno di pubblicazione: 2007. Casa editrice: The Edwin Mellen Press, New York.

- "Старая Одесса - забытые страницы", di Alexander de Ribas.

Titolo tradotto: "Vecchia Odessa – pagine dimenticate",

Anno di pubblicazione: 2004. Casa editrice: Mistectvo ( Мистецтво), Kiev.




 
I primi due libri sono il risultato delle ricerche della studiosa americana Anna Makolkin. La scrittrice, in realtà, è di origini ucraine e ha insegnato per diversi anni presso l’Università Mečnikov di Odessa per poi trasferirsi definitivamente in Canada, a Toronto, dove ha conseguito il Dottorato in Letterature Comparate. Ora è ricercatrice e professoressa a contratto presso l’Università di Toronto. Entrambe le monografie sono arrivate a compimento grazie al sostegno e alla  collaborazione di numerosi individui e istituzioni in Canada, Italia e Ucraina. In apertura al libro "Storia di Odessa, l’ultima colonia italiana sul Mar Nero", nella sezione "Ringraziamenti", la studiosa esordisce così : "Innanzitutto ringrazio Sua Eccellenza Dottor Leonardo Sampoli e la sua assistente, la Dottoressa Caterina Cicogna, che hanno accolto con entusiasmo l’idea di un libro sugli italiani a Odessa e hanno creato in Italia i contatti iniziali indispensabili durante le prime fasi della ricerca. […] La mia gratitudine va anche ai miei colleghi di Odessa: Lilia Grigorievna Belousova, archivista capo, e Vladimir Malčenko, direttore dell’Archivio di Stato ucraino a Odessa, che mi hanno dato la possibilità di accedere a fonti specifiche, mai esaminate precedentemente. Il supporto morale dell’archivista Belousova in questa sfida e il suo commento "Il tuo libro sarà una scoperta" mi hanno dato la carica necessaria per diversi anni" [Makolkin, 2004: v]

L’autore del terzo libro su cui mi sono soffermata è Alexander de Ribas. Nato il 19 Dicembre 1856 (data ancora incerta) a Odessa e deceduto il 2 Ottobre 1937, sempre nella sua città natale, fu pronipote del primo fondatore italiano della città, Giuseppe de Ribas. Giornalista di origini napoletane, studioso d’arte e autore di saggi letterari, studiò commercio alle superiori per poi passare allo studio di fisica e matematica nell’allora Università della Nuova Russia di Odessa (l’attuale Università Mečnikov). Terminati gli studi si dedicò al giornalismo. Collaborò inizialmente con il giornale locale "Pravda", si trasferì per un certo periodo anche a Kiev, per poi ritornare nella città d’origine e prendere attivamente parte alla vita sociale e culturale di Odessa, diventando anche direttore della biblioteca pubblica cittadina. Nel 1913 pubblicò il libro "Staraâ Odessa", in cui descrive le abitudini, gli usi e i costumi della nuova città appena fondata sulle coste del Mar Nero. Successivamente, scrisse numerosi saggi storici e memoires riguardanti lo stesso tema, che verranno poi raccolti e inseriti in una pubblicazione postuma, quella appunto analizzata in questa ricerca. Gli studiosi presso la biblioteca centrale di Odessa, la biblioteca "Gorkij", hanno contribuito alla raccolta di questi saggi in collaborazione con l’altro archivio della città, l’archivio A.N Zakni.

0.3 COME É STRUTTURATA LA RICERCA


 
Come si può notare dall’Indice dei contenuti, questa tesina inizia con una dettagliata presentazione dell’argomento, specificando come, quando e perché gli italiani si sono stabiliti nella città-neonata 

di Odessa. L’analisi sarà supportata da un passaggio tradotto, tratto dal libro di Anna Makolkin "Storia di Odessa, l’ultima colonia italiana sul Mar Nero".

Ci soffermeremo poi sulla descrizione della città dal punto di vista di Alexander de Ribas, cioè non dal punto di vista del colonizzatore, ma del colonizzato. Inoltre parleremo di un’altra personalità di grande rilievo che ha assistito all’espansione della cultura italiana a Odessa: Puškin. Dedicheremo una parte della ricerca alla scoperta dell’esilio a Odessa al quale il poeta era stato condannato, capitando proprio nel periodo in cui la colonizzazione italiana aveva raggiunto il suo apice.

Passeremo all’analisi dell’economia della città agli inizi del XIX secolo, basata soprattutto sull’attività portuale, aumentata e ingranditasi con l’arrivo degli italiani. Grazie al loro senso pratico e alle abilità nel settore commerciale, Odessa diventò il principale porto russo sul Mar Nero, occupando una posizione strategica con sbocco sul Mediterraneo. Affronteremo anche la questione linguistica: come l’italiano sia diventata lingua franca utilizzata non solo nella sfera economica e nell’area portuale, ma diventando lingua comune anche nella vita di tutti i giorni, per strada, presso i saloni dell’alta società.

In seguito, da un punto di vista più culturale, artistico e architettonico, prenderemo in considerazione la grandiosa influenza che il popolo italiano ha avuto nella fondazione della città. Gli artisti, scultori, architetti italiani invitati da Caterina II in suolo russo hanno dato vita ad un processo culturale che ha segnato la storia di Odessa per anni a venire.

Successivamente esamineremo le cause che hanno portato alla completa rimozione della presenza italiana a Odessa e al perché gli italiani siano stati così facilmente dimenticati e rimossi dalla memoria degli stessi russi. Per non parlare di archivi chiusi, o di libri di storia contemporanea che nemmeno menzionano la più grande colonizzazione culturale italiana avvenuta nel XIX secolo.

In conclusione, parleremo della Società Dante Alighieri: un’organizzazione fondata nel 1889 da un gruppo di intellettuali (fra i quali Giosuè Carducci) con lo scopo di diffondere la lingua e la cultura italiane nel mondo. Per il conseguimento delle sue finalità, la Società istituisce e sussidia scuole, biblioteche, circoli e corsi di lingua e cultura italiane. Vanta ben 423 Comitati sparsi in tutto il mondo. E uno di questi è tuttora operativo proprio a Odessa, a dimostrazione del filo culturale che continua a legare i due paesi. 
 
Per rendere la ricerca più chiara al lettore, specifico che ogni passaggio da me tradotto (dal russo o dall’inglese verso l’italiano) sarà riprodotto con il supporto del carattere corsivo


 





1. XIX SECOLO: GLI ITALIANI A ODESSA? UNA VECCHIA NOVITA’
 
 
 



1.1 ANNA MAKOLKIN E IL SUO LIBRO "STORIA DI ODESSA, L’ULTIMA COLONIA ITALIANA SUL MAR NERO" 
 
La storica americana Anna Makolkin si è da sempre occupata delle connessioni culturali fra Italia e Russia nella città di Odessa, e descrive in una monografia questo eccezionale trasferimento della cultura occidentale dall’Italia alle coste russe del Mar Nero nel XIX secolo, per disegnare e costruire un centro urbano di tendenza classica, e poi popolarlo con un assortimento di artisti italiani, arte italiana, opere teatrali e musicali italiane. Il libro, pubblicato nel 2004 e intitolato "A history of Odessa, the Last Italian Black Sea Colony" ("Storia di Odessa , l’ultima colonia italiana sul Mar Nero") è un resoconto accurato sulla fondazione della città-porto di Odessa e parla del ruolo svolto dagli immigrati italiani in quell’evento storico che portò alla riuscita esplorazione delle frontiere del Mar Nero e della Nuova Russia1. Oltre ad avere familiarità con entrambe le lingue e le rispettive culture, la dottoressa Makolkin ha conseguito nuove scoperte d’archivio molto significative negli archivi di Milano ( presso l’Archivio di Stato e, in seguito, nell’Archivio la Scala), Odessa, Barcellona e Pamplona [Makolkin, 2007 : i]. E’ stata quindi in grado di dimostrare come gli italiani hanno creato una fiorente città europea, trapiantata in un’Ucraina russa.

1 Termine storico che denota l’area a nord del Mar Nero, conquistata dall’Impero Russo alla fine del XVIII secolo.

Il suo libro va al di là del racconto della singola città e del contributo di un singolo gruppo. Piuttosto, colma le lacune della storiografia europea sull’ignota e sottovalutata migrazione italiana che fu cruciale nel processo di europeizzazione di una Russia rurale e arretrata ( nel penultimo capitolo intitolato "Gli italiani di Odessa dimenticati" chiarirò meglio questo punto). Ricostruendo la storia del porto e rivendicando l’italianità di Odessa, l’autrice non solo ripristina un passato erroneamente rappresentato, ma colloca questa migrazione italiana del XIX secolo poco conosciuta in un più ampio contesto culturale, al cui centro si trovano gli italiani. Parlando del porto, la Makolkin si concentra particolarmente sui suoi aspetti culturali, mentre la maggior parte degli storici parla solo di quelli economici. La studiosa considera questo legame Italia-Russia come un vero e proprio ponte culturale tra Napoli, Roma, Venezia, San Pietroburgo e Mosca [Makolkin, 2007: ii] . La storia culturale e urbana europea, sia occidentale che orientale, è inscindibile dall’Italia e dagli italiani, e questo è il contesto in cui l’autrice inserisce la sua ricerca. 



1.1.1 TRADUZIONE DA "STORIA DI ODESSA, L’ULTIMA COLONIA ITALIANA SUL MAR NERO"

Riporto qui un passaggio tradotto dall’inglese all’italiano tratto, appunto, dalla monografia sopra citata: 
 
"Migrazioni e migranti di epoche diverse hanno fondato Tiro e Biblo, Ugarit e Babilonia, Menfi e Troia, Atene e Roma, Napoli e Cadice, Barcellona e Siviglia, Genova e Odessa, sul Mar Nero. Come tutte le città, Odessa è un coro multilingue, un quadro multirazziale, una parata multicolore della Differenza e la più eccitante dimora di tanti, ma che non appartiene a nessuno. Odessa è una città di stampo europeo, e questo implica il fascino del Mediterraneo, l’ospitalità, l’eleganza e la bellezza. Come tutte le città europee, Odessa è italiana… ma c’è di più.

Quasi nessun odessita medio sa che la sua incantevole città è stata costruita con amore dagli odessiti italiani provenienti da Genova e Lugano, Venezia e Napoli, e che la lingua dell’ "Italia d’oro" era allora la seconda lingua parlata a Odessa. Gli odessiti stessi non conoscono la loro storia perché non è mai stata insegnata correttamente nelle scuole e nelle università di Odessa. L’antica storia italiana di Odessa è rimasta una vera e propria terra incognita, a parte qualche accenno qua e là. 
 
Odessa: la moderna Cartagine sul Mar Nero, l’Ausoniae l’Arcadiaslava, la San Pietroburgo del sud che ha attratto Alexander Puškin grazie alla sua europeità e italianità, deve la sua nascita all’eccezionale migrazione italiana del XVIII secolo, orchestrata dall’Imperatrice Caterina II di Russia in collaborazione con l’illustre diplomatico genovese Stefano de Rivarola. Per varie ragioni la storia di questa straordinaria migrazione è stata oscurata dalle esigenze sempre più pressanti del XIX e XX secolo, rimanendo una "pagina vuota", un buco nella memoria europea collettiva, la memoria degli slavi e degli italiani del sud. Questa ricerca si propone l’obiettivo molto ambizioso di scavare e ricostruire per la prima volta l’antica storia italiana di Odessa, riabilitando i suoi primi fondatori, creatori della sua bellezza urbana mistica ed eterna. I documenti e le prove di questa incredibile migrazione sono stati dispersi fra diversi archivi e biblioteche sparse per il mondo. Nel 1998, l’Archivio di Stato di Odessa ha aperto i suoi fondi italiani ad una studiosa canadese, una ex odessita, che ha passato i primi 29 anni della sua vita a Odessa, inclusi cinque anni di insegnamento presso l’Università Mečnikov di Odessa. I risultati sono stati sorprendenti. 

2 Termine poetico antico, usato fin da epoca romana, per indicare l’Italia.
3 Regione antica della Grecia, che nella storia della letteratura era vista come un mondo idilliaco. 




Dopo Odessa, in possesso di testimonianze dirette, l’autrice ha lavorato a Torino, Genova, La Spezia e Chiavari.

Le numerose fonti d’archivio, esaminate per la prima volta, hanno dato prova che c’è stata più di qualche presenza occasionale degli italiani a Odessa, dimostrando la necessità impellente di mettere in discussione la storiografia della Russia zarista, italiana e ovviamente quella di stampo sovietico. La ritrovata corrispondenza consolare e diplomatica (i fondi dei consoli Della Torre e Lagorio, i diari del console Cozzio e le lettere di Caterina II, le lettere degli architetti Boffo, Frapolli, Bernadazzi, Digby e altri, insieme alle centinaia di spedizioni di manifesti, verbali dei comitati, e discorsi pubblici ecc ecc…) ha rappresentato un eccezionale panorama della vivace colonia italiana, il primo strato culturale di Odessa nei suoi primi due secoli di storia.

Allora, quando migliaia di contadini europei si imbarcavano per il Nord America in cerca di prosperità, l’élite professionale e artistica delle città italiane lasciava Genova, Livorno, Napoli, Venezia, Palermo, Torino e Milano per l’incontaminata Nuova Russia. Questa influenza italiana dalle città ha portato sulle coste del Mar Nero il segreto della ricetta di europeità e dell’arte della vita cittadina.

"Storia di Odessa, l’ultima colonia italiana del Mar Nero" ricostruisce scrupolosamente la storia di questi immigrati italiani, invitati a costruire una Genova russa sul Mar Nero, dopo uno studio attento e comparato di vari dati contrastanti, con lo scopo di rettificare le narrazioni storiche deformate dagli storici, causate da una memoria storica selettiva e da tendenze scioviniste. 
 
La saga della nostra Odessa italiana va al di là della solita esperienza di immigrazione perché i protagonisti sono straordinari, in quanto discendenti dell’Impero romano e i creatori della più realizzata, avanzata e sofisticata civiltà. Il libro non solo riabilita gli odessiti italiani ma ritratta anche il concetto postmoderno di colonialismo, dimostrando concretamente come lo Zeitgeistculturale italiano ha permeato tutti gli aspetti della vita cittadina di Odessa e trapiantato le tradizioni estetiche, musicali e artistiche sulle coste del Mar Nero. Odessa, come tutto il resto delle città europee, ha ricevuto dagli italiani la sua bussola culturale e, raccontando la storia degli odessiti italiani, abbiamo cercato di rivalorizzare gli italiani come guide culturali, per lo più ignorati dagli studi culturali postmoderni. Spieghiamo lo speciale estetismo di Odessa e il culto della Bellezza in base all’influenza profonda ed estesa di matrice italiana. 

Termine tedesco, letteralmente significa "spirito del tempo": espressione in ambito filosofico elaborata fra il XIX e XX secolo, indica la tendenza culturale predominante in una determinata epoca.




Questa ricerca parla sia del ricordare le cose, gli eventi e gli anni passati, ma anche dell’arte del dimenticare, molto presente nella storiografia, e l’etica del discorso sul passato. Rivisita la vita e il tempo di Caterina II di Russia e la sua posizione intenzionalmente ridotta a causa del suo genere e per via delle origini straniere, gettando luce sulle esagerate conquiste dell’ammiraglio Suvorov e emarginando ingiustamente Giuseppe de Ribas, il primo governatore italiano di Odessa. Nonostante la composizione cosmopolita di Odessa, nessuna delle altre componenti della popolazione di Odessa ha fatto tanto per il porto e l’intera regione quanto hanno fatto gli odessiti italiani.

Il libro non sarà d’interesse solo per gli specialisti di italianistica e slavistica, della storia urbana, diplomatica e marittima, per i musicologi e gli storici dell’arte, ma anche per gli studiosi della storia europea del XVIII e XIX secolo. La semiotica, la "disciplina imperiale", ha guidato l’autrice nel suo viaggio nel passato di questa città istantanea, città paradosso, l’eterna prova di italianità e mecca culturale dei russi, dei sovietici e dei cittadini dei nuovi stati indipendenti. Il termine "colonia" è stato coniato dal console Coggio, i cui diari sono stati tra le diverse scoperte cruciali durante la ricerca e a cui il libro è stato meritatamente dedicato. 
 
 
Come tutti gli studi, il libro non può sostenere di essere né definitivo né pienamente completo, ma è un’opera di amore e incanto verso la più influente civiltà italiana. E’ un piccolo gesto di gratitudine alla città, che ha spinto l’autrice verso una salutare dieta fatta di Cimarosa e Verdi, Rossini e le canzoni napoletane, la poesia di Ada Negri5, il ricordo sempre vivo di Falconi e de Ribas, Battestini e Salvini, Puškin e Amalia Riznič6, insieme alle passeggiate lungo la via Ital’ânskaâ, camminando su e giù per i gradini di Boffo, e assorbendo l’ignoto, il nascosto fascino italiano-odessita. La mia è un’Odessa che era e che tuttora, senza dubbio, è italiana, un’Odessa vista come prova culturale e europea dell’Italia, riscoperta con un lontano sguardo dai Grandi Laghi. In un momento della vita in cui molte persone si concentrano su autobiografie personali, l’autrice ha scelto di scrivere una parziale biografia della sua città natale, della giovinezza urbana dell’Ausonia del Mar Nero." [Makolkin, 2004:1-4]

Poetessa e scrittrice italiana (Lodi, 1870 – Milano, 1945)


6 Giovane donna italiana di cui Puškin si innamorò durante il suo esilio a Odessa

1.2 GLI ITALIANI INVITATI A ODESSA FONDANO LA CITTÁ

 
Gli intellettuali italiani alla fine del XVIII secolo (esattamente nel 1794) si sono imbarcati in un’impresa coloniale nella città russa di Odessa. E chi l’avrebbe mai detto. Sono partiti senza armi,

navi o soldati. E nonostante tutto, l’intellighenzia italiana è stata in grado di insediarsi, progettare e modellare la città, importando la cultura italiana e incrementando l’attività di quella che poi sarebbe diventata la maggiore città portuale del sud della Russia, incentivando il commercio. E tutto ciò avvenne su invito dell’imperatrice Caterina II di Russia. Quest’ultima, desiderando l’occidentalizzazione della Russia contadina, invitò l’élite culturale italiana nella Nuova Russia, con l’obiettivo di creare una città ideale[Makolkin, 2007:2], seguendo gli esempi di Torino, Genova o Roma.

Concetto inizialmente elaborato durante il periodo rinascimentale, dopo il declino dell’antichità e la fine del periodo feudale e medievale.

La scelta non è stata casuale. Per secoli i Romani avevano costruito strade, acquedotti, anfiteatri, fortezze, edifici, civilizzando l’Europa e abbellendo le sue città. Durante il Medioevo e l’epoca moderna i loro successori, gli italiani, avevano fondato città che diventarono centri di diffusione della conoscenza. Nel XIX secolo, il governo russo mise a disposizione dei fondi per costruire la città di Odessa sotto la guida economica, architettonica e artistica del popolo italiano, per realizzare il progetto di una città ideale, la cui vita doveva ruotare intorno al teatro, al piacere, alla creazione di arte e cultura. Odessa, la città istantanea, nata nel giro di soli tre anni, l’ultima frontiera europea, il luogo dell’ultima colonia italiana sul Mar Nero, fu fondata nel 1794 dai colonizzatori invitati (notare, invitati!), provenienti da Genova, Livorno, Napoli, Roma, Venezia e Palermo[Makolkin, 2007:5].



Il primo governatore di Odessa, Giuseppe de Ribas, nato a Napoli nel 1749 da genitori spagnoli, nei primi tre anni di governo non solo realizzò, insieme agli ingegneri, architetti e costruttori italiani, un porto funzionante e attivo, ma anche un teatro dell’opera che inscenava regolarmente gli ultimi repertori italiani, e non solo. Anche una serie di edifici in stile classico che ben si adattavano alla scena urbana. Sono sorti edifici classici, inclusi ospedali, chiese, aree di deposito, quartieri residenziali e bellissimi viali alberati[Makolkin, 2007:23]. Sotto la guida esperta dell’ammiraglio Giuseppe de Ribas, questa città è oggi sia un monumento alla civiltà italiana e all’imperatrice Caterina negli ultimi anni del suo storico regno. 
 
Già in precedenza in Russia, nel 1703 Pietro I (conosciuto anche come Pietro il Grande) aveva fondato sul fiume Neva la nuova capitale, la futura San Pietroburgo, con l’aiuto dei maestri italiani Domenico Trezzini, Paolo Rastrelli e Carlo Rossi. Tuttavia, la realizzazione della "Venezia del nord", come ancora la chiamano a volte, non ha portato ad una considerevole migrazione verso la capitale e verso l’impero russo. Aveva semplicemente stabilito un nuovo punto di partenza culturale per la Russia, che dimostrava il suo entusiasmo e desiderio di rinnovarsi e diventare europea. 



Eppure, non ci fu una vera europeizzazione in Russia fino al regno di Caterina la Grande (1762-1796), l’imperatrice di origini prussiane che spezzò l’isolazionismo russo. Sicuramente intraprese una strada molto ardita, sacrificando le tradizioni e i sentimenti nazionalisti per dare spazio alla modernizzazione e mettendo temporaneamente da parte i russi per invitare gli stranieri, in particolare gli italiani [Makolkin, 2007:20]. Al contrario di molti zar russi, lei non diffidava degli stranieri, anzi provava ammirazione per qualsiasi cosa che fosse europea. Questo suo desiderio andava a braccetto con il disperato bisogno dell’impero russo di avere un passaggio sul Mar Nero.

Caterina la Grande entrò personalmente in contatto con i pensatori, i politici e le figure di spicco culturale italiani, come Beccaria, Galiani, De Rivarola, Cimarosa, Sarti e Paisiello[Makolkin, 2004: 178-180], tutti economisti e scienziati politici che le proposero metodi di progettazione e realizzazione del reticolo urbano. Proprio come San Pietroburgo rappresentava un passaggio per l’ Oceano Atlantico del nord, nel sud la Russia aveva bisogno di un porto per accedere al Mar Mediterraneo.

La scelta dell’imperatrice nel 1794 fu dettata dalla superiorità degli italiani nell’urbanizzazione e nella cultura urbana. Inoltre, lei sosteneva che, fra tutti gli europei, gli intellettuali italiani erano gli unici che, guidando il proprio impero, continuavano a rispettare le tre istituzioni fondamentali: monarca, chiesa e stato. Principio sul quale si fondava anche l’impero russo di quell’epoca. 
 
Il punto forte dell’equilibrio classico di questa città ideale era l’elegante teatro dell’opera che ospitava una scuola teatrale e gli esponenti principali dell’opera italiana. Non a caso Puškin ambienta il suo romanzo "Eugenio Onegin" proprio a Odessa, dipinta come un luogo di piacere dall’architettura raffinata, con parchi, giardini, ville e musica e dove "tutto sa di Europa"8. Architetti, disegnatori, cantanti d’opera, attori, pittori, scultori e imprenditori trasformarono Odessa in una "capitale culturale" della Russia del sud, la "Mecca culturale" dell’intero impero russo e poi sovietico, e successivamente la città custode della cultura italiana. La classe media italiana che emigrò a Odessa rafforzò la stabilità della vita cittadina. Questi italiani dal talento eccezionale portarono con sé le proprie tradizioni di senso civico, responsabilità comune e interesse per lo sviluppo della vita urbana.


8 "Eugenio Onegin", Puškin

Partendo da questa premessa quindi, poco alla volta, illustrerò le conquiste e i segni culturali lasciati dal popolo italiano in una città che, tutto sommato, un passato ce l’ha. E che passato.

 





2. ODESSA COLONIZZATA DAGLI ITALIANI, VISTA ATTRAVERSO GLI OCCHI DI ALEXANDER DE RIBAS 
 
 
 



2.1 ALEXANDER DE RIBAS E LA SUA "STARAÂ ODESSA"

"Sono stati scritti molti libri su Odessa. E in tutti traspare l’amore per questa città. Fra questi, un posto particolare è occupato dal libro "Vecchia Odessa" ("Старая Одесса") di Alexander de Rribas, pubblicato nel 1913. L’attrattiva e l’unicità di questo libro sta nell’abilità del suo autore di percepire e sentire l’anima viva della città, di comprenderne la storia, di riconoscere l’originalità dei caratteri e della mentalità dei suoi abitanti. […] Questo libro non è dedicato solo agli specialisti e a chi si interessa della storia della città, ma a tutti quelli che la amano davvero, così come l’ha amata Alexander de Ribas" [De Ribas, 1913:5]– Questa frase è un tributo ad Alexander de Ribas scritto da Sergej Grinevezkij, ex presidente dell’amministrazione regionale di Odessa. E inserito poi come breve introduzione al libro Staraâ Odessa.

In particolare, un saggio su cui mi sono voluta concentrare si riferisce proprio al "periodo italiano" di Odessa, descritto dall’autore stesso che ha vissuto in prima persona questa colonizzazione straniera. Una colonizzazione tutta italiana che, durante la gioventù di de Ribas, era affermata in tutte le sfere, culturale, commerciale, artistica. E dal titolo stesso del saggio, "Evviva l’Italia", si può dedurre che l’impressione dell’autore è molto positiva e mostra una grande apertura nei confronti della civiltà italiana.

2.1.1 TRADUZIONE DA "STARAÂ ODESSA"

Ecco qui riportato il saggio scritto dall’autore, tradotto dal russo verso l’italiano:


EVVIVA L’ITALIA  "La vecchia Odessa fu principalmente italiana. Il cielo, il sole, l’architettura delle case, i dipinti delle chiese, il nome delle vie, strade e stradelle, la punta alla fine del molo Platonovskij9, bagnato dalle onde del Mar Nero, le prime navi da Napoli e da Messina, le prime pietre di costruzione da Trieste e Malta, i primi commercianti, le prime gastronomie, le prime cantine di vini, la pasta, i primi pomodori e la bellissima Maria la Bella nel Gorsad10, le prime opere, i primi cantanti furono 

9 Uno dei primi tre moli del porto di Odessa, così chiamato in onore di Platon Subov, beniamino di Caterina II.
10 Giardino Municipale, situato in centro città.


la rappresentazione e l’eco della benedizione italiana. Non per niente Puškin, che amava tutto ciò che è buono e che capiva tutto ciò che è bello, chiamava gli odessiti "figli dell’Ausonia felice"11

11 "Eugenio Onegin", Puškin.

12 Architetto francese (Berna, 1760 – San Pietroburgo, 1813), ha lavorato tutta la vita in Russia.




Degli altri stranieri, attirati con ospitalità nella neonata Odessa dai suoi primi governatori, né i greci, né i francesi sono riusciti a lasciarle un’impronta nazionale predominante. Insieme alla popolazione russa, i greci e i francesi hanno gettato le basi per la prosperità di Odessa e hanno contribuito allo sviluppo della vita sociale e della ricchezza delle sue risorse economiche, conducendo una vita variopinta e luminosa, ma isolati gli uni dagli altri, come i colori sulla tavolozza, senza fondersi in un insieme armonico. Portarono a Odessa la loro energia, la loro intraprendenza, intelligenza, ma oltre a quello anche le loro aspirazioni egoiste. Gli italiani portarono a Odessa la loro anima.

L’Italia non è mai riuscita a vivere esclusivamente fine a sé stessa. Era sempre simile alle sue melodie: anche se alcuni individui non cantavano, bastavano gli altri a risuonare per tutti. E quando gli italiani, dopo essere arrivati a Odessa sulle prime navi europee, dopo aver sfidato le tempeste del Mar Nero, si stabilirono qui e diedero alla loro nuova patria, oltre al lavoro a vantaggio di tutti, il loro temperamento energico, la loro espansività e entusiasmo, il loro atteggiamento ingenuo nella vita pratica e il loro amore ardente verso l’arte libera, gli odessiti li accolsero a braccia aperte come fossero fratelli. Si immersero subito nel fascino dell’Italia, facendo proprie la sua bellezza, la sua musica, la sua lingua e persino la sua gastronomia. L’Italia diventò l’anima di Odessa.

Molte generazioni passarono a miglior vita nel momento in cui la lingua italiana per la prima volta riecheggiò nelle vie di Odessa e dal palco del teatro cittadino cominciarono a risuonare i primi suoni delle melodie di Rossini, e ancora tuttora nel cuore di ogni odessita, sia anziano sia giovane, il nome Italia richiama un’ondata di preziosi ricordi. 
 
I primi decoratori italiani Sarti, Pietro Bello, i primi architetti Frapolli (costruttore del teatro cittadino, secondo il progetto di Tomon12), Dall’Acqua, Torricelli (costruttore del Palazzo Reale), Boffo, Morandi (fondatore della scuola artistica odessita), i primi imprenditori del teatro cittadino Zamboni e Mantovani, e poi Sermapten e Foletti, i primi cantanti Moriconi, Catalani, Basseggio e dopo di loro una lunga lista (un intero collier, piuttosto), di nomi che rimarranno nella storia. 
Tutta la vita musicale e artistica di Odessa è stata creata con il contributo degli italiani. La lingua italiana dominava così tanto la vita quotidiana della popolazione, che non solo le vie portavano 
due nomi, sia in russo che in italiano, ma addirittura i nomi delle rappresentazioni russe a teatro erano scrupolosamente tradotte sui manifesti in lingua italiana. In alto "Ревизор"(Revisor) di Gogol, in basso "Il Revisore". Al contrario, i nomi italiani delle opere spesso rimanevano in lingua russa senza essere tradotti, e il titolo della poetica "Traviata" di Verdi rimaneva "Traviata" anche in russo, semplicemente riportata con caratteri dell’alfabeto cirillico (Травиата), diventando così popolare a Odessa che presto si adattò alla lingua volgare e venne rinominata con una parola del dialetto locale.  E’ curioso che i soldati ucraini, tornati dalla marcia di Suvorov13 in Italia e stabilitisi alle soglie di Odessa, custodirono molte parole italiane nella vita quotidiana, come cipolla (Cibulâ - Цибуля) , ciabatte (Čoboty -Чоботы) e altre.

13 Alexandr Vasilevič Suvorov (Mosca, 1729 – San Pietroburgo, 1800) fu un grande comandante militare russo. Considerato uno fra i più grandi generali dei suoi tempi, non mostrò tuttavia grandi qualità di stratega durante la campagna del 1799 in Italia e in Svizzera, essendo infine costretto, dopo una serie di vittorie non decisive in Lombardia e Piemonte, ad una disastrosa ritirata attraverso le montagne svizzere per evitare la disfatta completa.




Si possono fare molti esempi che intercorrono nei legami fra Odessa e l’Italia. Particolare significato ha avuto il trasferimento a Odessa di molti marinai italiani. Effettuavano il trasporto di merci che arrivano dall’estero sui loro barconi a vela servendosi di barche per raggiungere la riva. Spesso le navi, che esportavano pane da Odessa, ritornavano qui piene di inutili zavorre in pietra. Se non si trattava di pietra da costruzione proveniente da Trieste o marmi di Carrara, veniva gettata sulla spiaggia Lanžeron o quella di Piccola Fontana. Ma spesso, insieme alle pietre, giungevano alla riva anche preziose merci di contrabbando.

Alcuni dei più importanti commercianti a Odessa erano i fratelli italiani Anatra, originari della Sicilia. Il primo battello fu battezzato con il nome del fratello maggiore. Su di esso ("Fratello Angelo") viaggiavano gli italiani che si avventuravano dall’Inghilterra a Odessa, e veniva guidato da Angelo stesso, e a bordo salivano sempre obbligatoriamente sia il capitano, sia il fuochista.

I commercianti odessiti italiani giocarono un ruolo fondamentale nella realizzazione della prosperità commerciale di Odessa.

Come spiegare l’italianizzazione di Odessa? Perché gli odessiti si trasformarono così facilmente in figli di Ausonia, e non in figli dell’Antica Grecia o della Gallia? 
 
 
Ricordiamoci che l’esistenza di Odessa è collegata ad un italiano-napoletano. Nonostante Giuseppe de Ribas fosse spagnolo solamente di provenienza, il padre e la madre si erano stabiliti in Italia e Giuseppe stesso nacque a Napoli, da dove giunse poi in Russia. Dedicò tutta la sua vivacità e il suo entusiasmo alla neonata Odessa, insieme ad un atteggiamento ottimista e vivace verso tutto e tutti. Suvorov nelle sue lettere a de Ribas scrisse che lo attendeva in città, impaziente di sentire il suo proverbio preferito: "va tutto bene".

Il fratello di Giuseppe de Ribas, Felix, maggiore dell’esercito russo, fu il primo console napoletano a Odessa. Con grande ospitalità, rese disponibile la propria dimora a Carolina, la sfortunata regina di Napoli e Sicilia. Entrambi i fratelli compirono i primi passi per l’avvicinamento dell’Italia a Odessa.

Odessa visse le sue aspirazioni nazionali e politiche fianco a fianco con l’Italia. La battaglia fra Italia e Austria non fece scaturire in noi solo una semplice, silenziosa compassione. Spinse gli odessiti alla belligeranza e, alla notizia entusiasmante della marcia di Garibaldi, risuonante con organetti a manovella per tutte le corti, molti odessiti si unirono con soddisfazione ai piani per l’unità d’Italia e alla liberazione dei loro compatrioti dal giogo austriaco.

Alcuni anziani odessiti hanno preservato in ricordo quelle numerose cantine di vini italiani (come ad esempio la cantina Taddei in via Deribasovskaâ), in cui si radunava tutta la colonia odessita-italiana nelle serate degli anni sessanta: i poveri, i ricchi, i marinai, i coristi. Davanti ad un bicchiere di vino agre, ma naturale, giocando a morra cinese, basata sui gesti con le dita, si cantavano canzoni garibaldine e si accendevano vive discussioni che terminavano spesso con un’azzuffata.

Gli italiani non persero nessuno dei loro aspetti caratteristici a Odessa. Tutto quello che fecero nel settore della politica, dell’arte, e persino del commercio, era permeato di passione e ardore.

Se si dovesse ricostruire la storia dell’influenza degli italiani sullo sviluppo del gusto musicale degli odessiti, allora si parlerebbe sicuramente di come, nel corso di tutta la vita di Odessa, i nostro melomani siano stati contagiati dal temperamento dell’Italia. Di come l’Italia ci ha portato il suo sole e ha versato il suo sangue nelle nostre vene.

La musica, ancora più di alcuni aspetti spirituali dell’attività umana, ha legato per sempre l’Italia ad Odessa. 
 
 
Oggi, nel giorno dell’arrivo della celebre delegazione italiana, ricordando quanto siamo vicini al loro bellissimo paese sia nella storia sia nello spirito, non possiamo che esaltare l’incontro con i nostri amici, dal profondo del nostro cuore: "Evviva la bella Italia!"." [De Ribas, 1913:50-52]




2.1 PUŠKIN A CONTATTO CON LA ODESSA DEGLI ITALIANI


 
Facendo riferimento al testo di de Ribas, vorrei far notare che la colonia odessita italiana è in qualche modo legata anche al grande poeta e drammaturgo russo del XIX secolo Alexander Puškin. Come sottolinea Alexander de Ribas e come poi hanno notato altri studiosi (fra cui Anna Makolkin), nella sua opera Eugenio Onegin, Puškin accenna all’Italia e alla sua influenza esercitata su Odessa. Il poeta russo visse a Odessa per quasi tredici mesi, dal 3 Luglio 1823 al 1 Agosto 1824. Il suo soggiorno nella città effettivamente era nato come esilio: era stato confinato dallo zar Alessandro I a causa del suo comportamento e pensiero anti zarista. E invece questo risultò essere per lui un periodo davvero produttivo: nella sua biografia letteraria Odessa occupò un posto molto importante. Se l’obiettivo dello zar era quello di castigare il poeta, in realtà si è ottenuto esattamente l’effetto contrario. Puškin si diede alla bella vita, frequentava i casinò, andava a teatro, partecipava alle serate organizzate dagli esponenti dell’alta società. Lavorò alle dipendenze del governatore generale della città, il conte Vorontsov, con il quale però non ebbe mai rapporti idilliaci. I due, infatti, erano persone molto diverse: il conte Voroncov era di personalità composta, severa. Puškin era uno spirito libero, che non voleva dipendere da nessuno. Per di più, è noto a molti l’aneddoto secondo cui la moglie di Voroncov e il poeta avessero instaurato un rapporto molto intimo. Motivo per cui Voroncov chiese allo zar di allontanare il poeta dalla città.

A Odessa Puškin scrisse più di 30 poesie, capolavori di liriche politiche e poesie sulla sua vita personale, portò a termine un passo fondamentale del poema Zingare e finì tre capitoli del romanzo in versi Eugenio Onegin. Ed è proprio riguardo ad un passaggio di questo romanzo che vorrei concentrarmi: nel capitolo tredici si descrive il viaggio di Eugenio, il personaggio principale, a Odessa. La narrazione è svolta in prima persona dal protagonista (che in realtà è Puškin stesso) che intraprende il viaggio, che vive un’Odessa ormai puramente italiana. E così descrive la città: " La lingua dell’Italia dorata risuonava allegra per le strade, dove camminava l’orgoglioso slavo, il francese, lo spagnolo, l’armeno, e il greco e il severo moldavo, e il figlio della terra egizia, e il corsaro che si è dimesso, Morali". E’ un quadro un po’ affollato, con tante persone di nazionalità diverse, ma che rende benissimo l’idea di Odessa all’inizio del XIX secolo: una città che ha ospitato tantissimi stranieri, e in questa atmosfera multietnica risuona al di sopra di tutte la lingua italiana. 


 
14 Fotografia scattata durante una visita al Museo Puškin, che si trova oggi in via Puškinskaâ (prima via Italianskaâ). Questo museo fu la dimora del poeta russo durante il suo esilio a Odessa.



Inoltre, ancora a sostegno della nostra tesi, quella che oggi si chiama via Puškinskaâ (lunga via centrale, che si distende per due chilometri dalla stazione ferroviaria e arriva a incrociare via Deribasovskaâ), fino a metà dell’800 si chiamava via Italianskaâ. 
 
E ancora, alcuni libri di ricerca letteraria in cui mi sono imbattuta a Odessa parlano del soggiorno del "Dante russo" nella città. E’ anche grazie a lui se gli annali della storia russa hanno tramandato un’altra traccia della presenza italiana a Odessa. Molti studiosi della materia, fra cui la Makolkin, si soffermano (in modo non trascurabile) sul profondo sentimento che il poeta provò per una donna italiana, Amalia Risnič, moglie del ricco commerciante Giovanni Risnič, di origini italiane trasferitosi poi per affari. Nella primavera del 1823 Giovanni portò con sé a Odessa la bellissima moglie Amalia. Lei allora aveva vent’anni e il marito era più anziano di lei di undici anni, motivo per cui molti lo scambiavano per il padre. "Era italiana – scrivono gli studiosi letterari dei giorni nostri – nativa di Firenze. Giovane, di alta statura, un corpo in salute e di unica bellezza. Particolarmente attraenti erano i suoi occhi caldi di passione, il collo bianco da una forma adorabile e una treccia nera, lunga più di un metro e mezzo." Fra le poesie che il poeta dedicò all’amata, si ricordano in particolare un elogio, "Mi perdoni questi sentimenti di gelosia?", e una bellissima poesia, "Notte", entrambi scritti a Odessa. Le produzioni poetiche dedicate ad Amalia sono considerate un capolavoro delle liriche intime del poeta: sono state tradotte in molte lingue in tutto il mondo e riprodotte in musica. 

 





3. L’ITALIANO COME LINGUA FRANCA 
 
 
 



3.1 NEL COMMERCIO… 
 
Durante il loro trasferimento nella San Pietroburgo del sud, gli italiani non hanno portato con sé solo arte, cultura e conoscenza, ma anche il senso pratico per cui erano e sono tuttora ben conosciuti. Le loro abilità commerciali hanno fatto sì che a Odessa fosse costruito un porto franco, cioè una zona economica libera dove si godeva di alcuni benefici tributari (nessun pagamento di dazi per l’importazione di merci e assenza di imposte). Con la realizzazione di questa zona di libero scambio, nella città non solo si sviluppò uno scambio di beni e un traffico di navi, ma la "lingua dell’Italia dorata"15 diventò lingua franca dell’intera costa del Mar Nero, la lingua delle corrispondenze commerciali e scambi via mare, dell’opera, dei saloni dell’alta società, delle scuole. La città, tuttavia, non ha goduto subito di questo status. Sicuramente Odessa è stata sempre una città libera sin dall’inizio, ma questo status le è stato garantito legalmente nel 1817 [Makolkin, 2004:124]. E’ stato grazie alla realizzazione di un porto franco che si è formata la inimitabile atmosfera cittadina di Odessa: il libero scambio di persone, beni, idee, libri, opinioni, lingue, suoni, che si può sviluppare esclusivamente in un porto libero. L’idea, elaborata da Caterina II e contenuta nel suo Nakaz (ordine) alla nazione russa, afferma che "i divieti intralciano il commerciante". E questo diventò il principio fondamentale della città di Odessa. Avendo deciso di costruire un porto libero nel sud, l’imperatrice russa riuscì a espandere il suo Impero, in un momento in cui solo pochissimi porti in Europa godevano di questo status.


15 "Eugenio Onegin", Puškin

3.1.1 TRADUZIONE TRATTA DA "STORIA DI ODESSA: L’ULTIMA COLONIA ITALIANA SUL MAR NERO"

A questo proposito, vorrei riportare qualche pagina tradotta dal libro di Anna Makolkin. La studiosa presenta in modo molto chiaro e lineare il processo che ha dato vita al porto della città: 
 
"Già molto tempo prima della fondazione di Odessa, Stefano de Rivarola, inviato italiano, fornì all’imperatrice russa una descrizione dettagliata sulla vita dell’allora città portuale libera di Danzica, come possibile modello per il futuro porto russo sul Mar Nero. Nonostante la ripresa 

dell’antica tradizione del porto franco avesse avuto luogo in Europa molto più tardi (Brema, Amburgo, Lubecca nel 1835 e Copenaghen nel 1891), i porti di Germania, Danimarca, Norvegia, Svezia e Polonia avevano in effetti goduto della vecchia tradizione Anseatica e di ciò che ne era rimasto, gli usi e costumi delle città popolate da leghe indipendenti di mercanti, un tuffo nel passato medievale. Tuttavia, fra tutti i paesi europei, solo i porti italiani potevano vantare della più lunga esperienza nel mantenere e nel trarre vantaggio dallo status di porto franco. Gli storici propongono diverse date, ma all’unanimità riconoscono Livorno come uno dei porti liberi più moderni, il cui status gli fu dato nel 1675, insieme a quello di Civitavecchia, Ancona, Messina e Genova. […].   Entro il 1794, l’anno di nascita di Odessa, l’idea di porto franco era stata messa in pratica innanzitutto dagli europei, e i fondatori e custodi italiani del porto di Odessa avevano introdotto con fiducia questa antica pratica commerciale sul territorio russo. Persino prima che il porto franco fosse riconosciuto legalmente nel 1817 (per decreto dello zar Alessandro I, datato 16 Aprile 1817), Odessa era gestita come porto libero, avendo effettuato una fusione di successo fra le antiche tradizioni di porto franco, i metodi anseatici medievali e quelli moderni italiani del libero commercio. L’istituzione ufficiale del porto franco cambiò notevolmente non solo l’economia ma anche l’atmosfera culturale di questa città. Dopotutto, libertà e porto sono davvero inscindibili." [Makolkin, 2004:106-107]



La zona di libero scambio non includeva solo il porto, i magazzini, i cantieri navali e altri edifici industriali, ma anche le residenze più prestigiose, le proprietà, i beni immobiliari, le strutture ricreative e culturali più costosi della zona. 
 
Lo status di porto franco trasformò Odessa in una colonia dove i fondatori che venivano da lontano erano alcuni fra i più prosperi al mondo, che si erano trasferiti per godersi la vita e i piaceri che ne derivavano. Si trattava di un cuore straniero fatto di colonizzatori, mercanti, banchieri e artisti all’interno di un corpo slavo. La politica zarista diede l’incarico al primo governatore italiano Giuseppe de Ribas di iniziare un’opera di popolamento della città, ma anche di sviluppare, aumentare l’attività del porto [Makolkin, 2004:123]. Fu così che decise di trasferire i business italiani più prosperosi nel nuovo porto. Con i suoi assistenti, concesse agli italiani i primi permessi di costruzione nel centro città. Vennero costruite le prime torgovye doma (dall’italiano case di commercio), gestite soprattutto da italiani. I più influenti uomini d’affari rimasero i genovesi, i veneziani e i livornesi fino agli anni ’60, quando il risentimento e la gelosia del popolo dell’impero
russo diedero vita ad una competizione con il fine di accaparrarsi le proprietà e i beni che appartenevano ai colonizzatori. Il 1860 fu l’anno dell’abolizione della servitù in Russia e masse di servi ormai liberi si diressero dalle campagne alle città, inclusa Odessa. Inoltre, l’anno dopo fu l’anno dell’unità d’Italia e questo portò ad un esodo di massa degli odessiti italiani nella loro patria d’origine. Nonostante tutto, fino al 1860 gli odessiti italiani rappresentavano ancora la ricca élite della città, controllavano il commercio e la navigazione internazionali dal momento che avevano ingenti risorse presso le banche russe locali, e le grandi proprietà continuavano a essere in loro possesso.  E a questo proposito, la Makolkin riporta nel suo libro una lista pubblicata nel 1854 dalla rivista odessita Novorossiskij Kalendar’ in cui sono elencate le cinquanta case di commercio ancora esistenti nonostante l’ufficiale abolizione del porto franco nel 1849. Di queste cinquanta, trenta erano gestite dagli coloni odessiti italiani ancora influenti nella società del tempo Fra questi nomi compaiono i fratelli Bubba, Rocco, Ralli, Rossi, i quali possedevano attività sulle vie centrali Ital’ânskaja (ora via Puškinskaâ), Ekaterininskaâ e Rišelievskaâ [Makolkin, 2004:113-114]. Nello stesso anno, la rivista rese pubblico che più del 50% degli scambi commerciali era nelle mani degli italiani, che si erano presi la responsabilità di dare forma ai rapporti commerciali della Russia con Europa e Asia.



Come è ben chiaro, nel 1854 gli italiani erano ancora al comando dell’attività commerciale della città, e non erano pronti a rinunciare né al loro potere e nemmeno ai privilegi persino per molto tempo dopo l’abolizione del porto franco. Continuarono ad apportare al nuovo porto russo un’ingente fatturato, arricchendo la loro nuova patria, e anche l’Italia. I profitti ricavati erano di gran lunga superiori a quelli degli altri coloni, da cui scaturiva una certa invidia. Gestivano il porto, la Borsa, le compagnie di assicurazioni, i cantieri navali, i rapporti import-export su larga scala. Nel periodo fra il 1798 e il 1805 le esportazioni russe furono 44 volte maggiori, e le importazioni 18 volte, grazie al porto di Odessa [Makolkin, 2004:115]. Nella monografia di Anna Makolkin, nel capitolo dedicato al porto di Odessa sono presentati dei documenti di spedizioni annuali effettuate nell’area portuale. Sono elencati i nomi dei destinatari delle numerose importazioni, la maggior parte dei quali sono italiani. Ad esempio, il manifesto di spedizione n°15 del settembre 1825 [Makolkin, 2004:115]:

- 250 buste di tabacco per Anastasio Sino;

- 21 botti di olio d’oliva;


 
- 15 sacchi di pepe per Giorgio Milliotti; 

- 500 pacchi di mele cotogne per Teodoro Serafino;

- 7 contenitori di metallo di pepe nero;

- 1 pacco di garofani per Alessandro Mauro;

- 62 botti di olio d’oliva per Giovanni Almali;

- 1 pacco di oggetti d’argento per Laura Fio Sarotti;

- 5 barili di pesce salato;

- 5 contenitori di olio d’oliva per Giovanni Teocari;

e così via..

3.2 … E NELLA VITA DI TUTTI I GIORNI

Da un punto di vista più linguistico, invece, non è un caso se persino trent’anni dopo la fondazione di Odessa, il 3 Dicembre 1829, il governatore generale, il conte Voroncov, si rivolse ai cittadini di Odessa in italiano, annunciando la ripresa di tutte le attività cittadine dopo l’epidemia [Makolkin, 2004:124]. Scelse la lingua nativa dell’ancora influente gruppo urbano che mirava a riaprire teatri, bar, scuole, business, e ripristinare il commercio e la navigazione.

La lingua italiana rifletteva l’attuale distribuzione del potere e della demografia di Odessa, le cui posizioni chiave nelle attività bancarie, nel commercio, presso la Borsa, nel settore industriale, e nelle istituzioni culturali erano gestite dagli italiani nella loro stessa lingua. Sin dalla realizzazione del porto nel 1794, l’intera corrispondenza commerciale e degli affari portuali era condotta in italiano. Questo dimostra la natura e il volume dell’import-export di Odessa, la regolarità dei legami italo-russi di quell’area e l’importanza della colonia italiana. Nel 1827 sono state registrate 103 navi che viaggiavano da Odessa a Genova trasportando 18’986 tonnellate di carico. 
 
L’italiano utilizzato a Odessa non era solo la lingua franca del commercio marittimo e del porto, ma ebbe anche un enorme impatto culturale. Avendo sostituito il russo, la lingua originaria di quella zona, i colonizzatori italiani riuscirono a creare più di una lingua franca a livello commerciale. I porti marittimi liguri, tirreni e adriatici furono trasferiti con successo sulle coste del Mar Nero. Partendo come lingua utilizzata all’interno del porto, il dialetto dei marinai e dei commercianti si diffuse fra l’affascinante élite culturale russa, diventando la lingua privilegiata dei saloni d’alta

società, dell’opera, delle scuole e per le strade. Ciò che ne rimane sarà sempre rintracciabile nel tipico slang russo di Odessa. La parola russa di Odessa "poc", che sta per "pazzo, matto" (un’espressione dialettale usata nel XIX secolo), viene dalla parola italiana "pazzia" [Makolkin, 2004:125]. Per decenni i documenti di spedizione al porto di Odessa furono scritti in italiano, lingua capita e parlata dai capitani, dai marinai, dai passeggeri, dagli scaricatori di porto, dagli agenti di borsa e assicurativi, e dall’amministrazione portuale. I russi aristocratici residenti a Odessa erano onorati e consideravano un prestigio il saper leggere e parlare la lingua di Dante e Petrarca, Rossini e Bellini, era il simbolo di appartenenza culturale e europeità. 

 





4. TEATRO, ARTE E ARCHITETTURA NELL’800: GLI ITALIANI PORTANO TUTTO CON SE’ 
 
 
 



4.1 TRASFERIMENTO DELLA CULTURA ITALIANA SU SUOLO RUSSO: ARCHITETTI ITALIANI ALL’OPERA.

Sin dall’inizio, Odessa fu progettata non solo come punto commerciale o area portuale, ma come una replica del mondo europeo: ricordava agli italiani fondatori le città di Genova, Milano, Napoli, Torino, Venezia, Roma. Analogamente a tutte le città italiane, vecchie e nuove, non vantava solo belle chiese, un imponente edificio comunale e una Borsa, ma anche un ospedale e diversi teatri.

Avendo invitato gli italiani a costruire un porto europeo sul Mar Nero, l’imperatrice russa firmò un patto simbolico trasferendo l’italianità e la cultura romana su suolo russo. Sin dall’antichità, gli italiani erano sempre stati gli esperti in materia urbanistica: i loro antenati, i Romani, avevano le chiavi dell’organizzazione ideale dello spazio, delle persone e delle comunità. Questa abilità si manifestava nella costruzione monumentale di strade, acquedotti, centri termali, quartieri residenziali per il benessere degli abitanti. Gli italiani, diretti discendenti dei Romani, ereditarono i loro metodi antichi e li applicarono alla realizzazione di una struttura urbana efficace e sofisticata. Le loro conoscenze e abilità vennero sfruttate durante la fondazione della maggior parte delle città europee e sono particolarmente rintracciabili nella città di Odessa [Makolkin, 2007:27]. L’equilibrio, le proporzioni, la simmetria, la monumentalità e l’ordine rigoroso del Rinascimento italiano: sono tutte caratteristiche visibili nella struttura dell’edificio del Comune della città, nella facciata del Museo Archeologico, per non parlare dell’incredibile progetto elaborato dall’architetto italiano Francesco Boffo: la scalinata Potëmkin. 
 
Gli artisti e architetti italiani si trasferirono a Odessa agli inizi dell’800 e uno dei motivi per cui accolsero l’invito con piacere fu per fuggire dall’occhio rimproverante e attento del Vaticano. Videro l’opportunità di realizzare quei progetti che su territorio italiano erano stati respinti dalle rigide norme della Chiesa. La Nuova Russia e, nel nostro caso analizzato, Odessa, rappresentavano una valida via di fuga, dove la Chiesa non poteva controllare l’istinto e l’immaginazione degli artisti. L’insolita libertà degli architetti e dei progettisti italiani non fu casuale: era garantita dalla solida sicurezza finanziaria fornita dalle corti russe e dall’amministrazione cittadina di Odessa. Questo fu un fenomeno unico nella storia culturale e urbanistica europea in cui gli architetti stranieri ebbero la prima e l’ultima parola nella pianificazione urbana ufficiale [Makolkin, 2007:30]. Fra i nomi degli architetti operativi a Odessa in quel periodo, i nomi più rilevanti (oltre a Francesco Boffo, già nominato in precedenza e che verrà approfondito più avanti) sono quelli dell’architetto Francesco Frapolli, nato a Napoli e morto a Odessa nel 1819, e il fratello Pietro Frapolli (nato a Napoli e morto a Odessa nel 1857). Francesco Frapolli venne nominato Architetto della Città di Odessa nel 1804, e fu responsabile dei primi, numerosi progetti a Odessa, come il Teatro dell’Opera e la chiesa Troickaâ in via Ekaterininskaâ.

4.2 ARTE-NOSTALGIA: I DIPINTI DEGLI ITALIANI ODESSITI

Oltre ad architetti e esperti di progettazione urbana, un’altra figura che apparve nell’Odessa del XIX fu l’artista, il pittore. Un’emozione che spesso traspare nel momento in cui si osserva e analizza un dipinto di un artista italiano è proprio la nostalgia. E i dipinti che gli italiani realizzarono a Odessa non sono stati un’eccezione. La nostalgia dei colonizzatori italiani fu molto complessa e produttiva nel processo di esplorazione della città: portarono con sé non solo la memoria del Rinascimento italiano, ma anche i ricordi personali delle loro città italiane native, le loro coste originarie dell’Adriatico, del Mar Ligure, del Mediterraneo, o del Mar Tirreno, le montagne della Lombardia o i giardini di Nervi (Genova), il profumo della Toscana e l’eterna bellezza di Roma, Napoli, Venezia, Milano e Torino [Makolkin, 2007:45].

Se in qualche modo l’architettura di Odessa manifestava il gusto rinascimentale dei suoi fondatori italiani, esprimendo la nostalgia per l’armonia e la bellezza dell’antichità classica, dall’altro lato i dipinti, le incisioni, gli schizzi dei pittori italiani odessiti rivela una nostalgia diversa. Tutti i più importanti architetti (la dinastia dei Frapolli, Francesco Boffo, Giovanni Quarenghi ecc ecc..) lavoravano in qualità di architetti della città, supervisionando personalmente il processo di costruzione dei loro stessi progetti [Makolkin, 2007:46]. Gli architetti italiani a Odessa, come si è già affrontato qui sopra, erano rispettabili cittadini dell’impero russo, la cui creatività fu riconosciuta e valorizzata dal loro nuovo paese. Al contrario, i dipinti, una forma d’arte più intima e di natura meno pubblica, dovettero attendere periodi più lunghi per essere riconosciuti. Innanzitutto perché Odessa non aveva né grandi cattedrali e nemmeno palazzi da decorare e i pittori italiani dovettero praticare la loro arte su una scala meno vasta. Molto spesso rimasero anonimi, nonostante la qualità del loro lavoro era degna di firma. A questi artisti inizialmente poco considerati, trasferiti in una città sconosciuta, chiaramente mancava la propria patria e le sue ricche tradizioni artistiche. 
 
In particolare, il soggetto più comunemente rappresentato era il mare. L’atmosfera marittima di Odessa e il suo porto suscitavano negli artisti forti ricordi, e i luoghi di mare li spingevano a fare 
paragoni con il proprio mare italiano, che fosse quello Ligure, Adriatico o Tirreno. Decisero di rispondere positivamente all’invito dell’imperatrice perché il nuovo porto franco russo era nato come copia dei porti italiani, e avevano stabilito che il mare, l’attrazione geografica più rilevante, avrebbe dominato la loro arte. Gli italiani odessiti volevano essere circondati dalle immagini-creazioni simili a quelle dei loro compatrioti, imitando Guardi con la laguna di Venezia, piuttosto che Magnasco, pittore genovese.

4.3 IL TEATRO DELL’OPERA

La vita di teatro a Odessa iniziò immediatamente, negli edifici costruiti in maniera sbrigativa e adibiti a teatro, oppure nelle case private degli aristocratici della città. Il vero Teatro non fu costruito a Odessa fino al 1804: finalmente la comunità artistica poteva avere dimora permanente. 
 
La costruzione del Teatro dell’Opera avvenne nel 1804, realizzata appunto secondo il progetto dell’architetto Frapolli. Tuttavia, nel 1873 fu distrutta completamente da un incendio. La facciata del primo teatro seguiva esattamente la struttura architettonica del teatro di Mantova o del Teatro Felice di Genova: le sue monumentali colonne sullo stile del Pantheon greco, il soffitto triangolare e l’elegante semplicità della sua entrata sono riprodotti analogamente in tutta l’Europa dell’est e dell’ovest [Makolkin, 2004:174]. E’ essenziale specificare che nel XVII e XVIII secolo il teatro era diventato la componente principale di tutte le strutture architettoniche cittadine. Gli intellettuali europei si interessavano sempre più al rivivere l’antichità a tutti i suoi livelli, inclusi i teatri pubblici, spezzando la tradizione di spettacoli religiosi, rompendo il legame con la Chiesa e favorendo la natura umana a quella divina. Nel XVII secolo le chiese, le imponenti strutture sparse per tutta Europa, erano sfidate dal numero sempre più crescente di teatri, e la loro popolarità raggiunse il culmine nel XIX secolo. Il teatro dava un nuovo senso alla vita, rappresentava una nuova forma di socializzazione, interazione fra gli individui e uno stimolo in più per coloro che vivevano di arte e spettacoli. E se prima solamente la casata reale poteva assistere a rappresentazioni teatrali, il teatro pubblico rappresentò una soluzione universale. 




4.3.1 TRADUZIONE DA "IL XIX SECOLO A ODESSA"

A questo proposito vorrei riportare un passaggio tradotto dal libro "Il XIX secolo a Odessa – Cento anni di cultura italiana sulle coste del Mar Nero (1794 – 1849)", ben esplicativo della concezione che gli italiani avevano del teatro e dell’uso che ne hanno fatto nel momento in cui hanno realizzato quello di Odessa. 
 
"Gli architetti del primo Teatro dell’Opera, Thomas de Tomon e Francesco Frapolli, dovevano essere consapevoli dell’ideologia diffusa e del concetto di città ideale. La facciata del primo Teatro dell’Opera, distrutto durante un incendio nel 1873, replicava le facciate del Teatro Felice di Genova e del teatro di Mantova, mentre gli architetti del teatro ricostruito (F.Felner e H.Helmer) restituirono successivamente a Odessa il suo paradiso estetico. Di conseguenza, nel 1875, il secondo Teatro Imperiale dell’Opera poteva orgogliosamente competere per lo splendore dei suoi spazi esterni ed interni con La Scala di Milano, l’Opera di Parigi o con i teatri dell’opera di Budapest e Vienna. Odessa è una delle poche città europee ad essere concepita come città ideale, la cui principale attrazione urbana fosse il teatro. Questa utopia urbana e estetica è stata trapiantata fortemente nella psiche collettiva degli odessiti bohemien, degli amanti dell’opera e del teatro, e dei sofisticati esperti di arte le cui sole divinità erano e sono tuttora la Bellezza, la Musica e il Teatro. Non è un puro caso se le immagini di Melpomene, musa della tragedia, e Tersicore, musa della canzone e della danza, sono fra gli elementi decorativi del tempio più sacro di Odessa.   Sin dalle sue origini, il culto del teatro che regnava a Odessa fu responsabile dello sconvolgimento dei valori collettivi, il reale era spesso trascurato in quanto irrilevante, mentre il teatro e il mondo dell’inesistente erano elevati a livello di realtà vitale e ideale. Il culto del teatro che permeava la vita di tutti gli odessiti deve aver inspirato Alexander Puškin, il bardo russo più venerato, tanto da aggiungere ai viaggi di Onegin un capitolo sulla vita ideale nella città ideale fatta di sole, ostriche e Rossini. Eugenio Onegin, il protagonista principale del suo romanzo in versi classico, poetico e famoso in tutto il mondo, un romantico afflitto e alla ricerca della propria anima, trova il vero paradiso nella nuova Ausonia, la terra di Rossini, Cimarosa, Paccini, Bellini e Donizetti, dove "tutto sa di Europa" e dove "regna la lingua dell’Italia dorata". In questo romanzo Puškin racconta sotto forma di poesia il suo stesso soggiorno a Odessa dal 3 luglio 1923 al 1 agosto 1824, una tappa piuttosto piacevole del suo esilio a sud. Rinchiuso tra i confini dell’impero, mentre è a Odessa, Puškin sperimenta l’Europa in modo completo, respirando nella libertà del porto franco e nel clima estetico della colonia italiana, la città ideale, la città paradiso. 

Il concetto di città ideale adottato nella realizzazione di Odessa, con il teatro come epicentro, confermava il carattere e il significato di tutte le altre caratteristiche architettoniche della città. Se a Milano nessun edificio poteva superare in altezza il Duomo o sfidare la sua magnificenza, nessuna delle strutture di Odessa poteva superare in splendore il Teatro e nessuna delle vie doveva essere più maestosa e elegante della piazza dell’Opera. La centralità del Teatro guida l’architettura complessiva, sia sacra che profana, in cui tutti gli edifici sono disposti in modo da condurre al Tempio principale: il Teatro. Gli architetti di Odessa, come i fratelli Frapolli, Torricelli, Della Acqua, Digby, Scudieri, Cambiaggio e Boffo, che avevano lavorato costantemente per creare un’ immagine armoniosa della città riuscirono a realizzare il sogno di città-utopia. Diversamente da altre parti in Europa, i mercati di Odessa circondano la città, le sue chiese sono cosparse per la città in maniera dimessa, le banche e gli uffici non interferiscono con la più importante ragione d’essere della città: l’apprezzamento e l’adorazione dell’Arte e della Bellezza. A Odessa, tutte le funzioni urbane ordinarie e mondane, come il commercio, l’attività bancaria, le spedizioni, le dogane e le industrie sono state rese secondarie all’unico sacro Godimento dell’Arte e della Musica, e al Culto del TEATRO. L’Opera, il dramma, e qualsiasi evento teatrale è sempre stato una parte dell’attività teatrale di Odessa, una celebrazione alla vita nei suoni, profumi e splendori di una rappresentazione. Non essendo in grado di imitare i nobili o i reali che potevano trascorrere intere giornate a teatro, l’odessita medio è stato abituato a vivere in attesa dello spettacolo e per trascorrere persino brevi momenti nel Tempio dell’Arte e nel suo mondo immaginario preferito. Questo proposito era in linea con la comparsa del movimento "l’arte fine a sé stessa" nell’Europa del XIX secolo, con i preraffaelliti inglesi e gli impressionisti francesi. Il teatro a Odessa sostituì la cattedrale, la banca, il mercato e il palazzo comunale. Come tutte le strade d’Europa portano a Roma, e le strade del Vaticano portano a Piazza San Pietro, il piazzale del Teatro diventò la Piazza San Pietro simbolica di Odessa, il suo cuore urbano, il principale simbolo architettonico, ricolmo di un significato sorprendente. I binari ferroviari furono simbolicamente costruiti sul lato opposto del reticolo urbano. La monumentale Scalinata Potëmkin, opera di Francesco Boffo, ora simbolo di Odessa conosciuto a livello internazionale, è l’entrata ufficiale della città-utopia e posta in direzione del teatro, il tempio glorioso dell’Opera italiana, accanto alla facciata stile Pantheon del Museo Archeologico. Il reticolo urbano di Odessa fu basato sulla principale premessa filosofica estetica della città-paradiso, con il Teatro al centro, da cui dipendono e intorno al quale si sviluppano gli altri edifici." [Makolkin, 2007:42-44] 

 





5. GLI ITALIANI DIMENTICATI 
 
 
 



Qualsiasi forte narrazione nazionalistica evita attentamente il ruolo dell’Altro nella propria sfera culturale. Riconoscere l’influenza culturale straniera significa distruggere il mito dell’unicità del proprio paese e della propria cultura[Makolkin, 2004:18]. E’ sempre risultato arduo accettare la presenza straniera: per qualsiasi etnia è difficile ammettere la mancanza di totale indipendenza, o la superiorità di un altro gruppo che ha imposto la propria cultura. Ogni paese mira a conservare la propria autenticità, il proprio mito culturale. In realtà, tutte le culture sopravvivono grazie alla ricchezza di altre, si nutrono reciprocamente. Senza Byron e Chateaubriand non ci sarebbe stato Puškin, senza Bellini e Rossini, Verdi e Donizetti, Mozart e Chopin non ci sarebbe stato Tchaikovsky, così come Dostoevsky non sarebbe esistito senza Balzac, o Dickens. Un filo culturale invisibile lega tutte queste personalità. 
 
Purtroppo, nel caso degli italiani a Odessa, questo filo è stato spezzato, e il loro è diventato il caso "degli italiani dimenticati". Nessuno sa dire il perché. Sarà stata mal informazione, piuttosto che documenti d’archivio mal interpretati. Oppure, come sostiene la studiosa Anna Makolkin, si è trattato di pura volontà e manomissione zarista[Makolkin, 2004:19]. Fu particolarmente doloroso per gli storici russi riconoscere che il salto in avanti compiuto dalla società e dalla cultura russe nel XIX secolo non è stata un’impresa indipendente. Altri fattori (o meglio, altre culture) hanno preso parte a questo processo di cambiamento culturale. La studiosa afferma che per anni, prima in periodo zarista e poi durante il periodo sovietico, gli archivi sono stati oggetto di deliberata manomissione, il cui risultato è stata la completa rimozione del ruolo straniero a Odessa, e quindi degli italiani. Di conseguenza, una volta eliminati dalla storiografia russa, i fondatori italiani di Odessa sono anche stati rimossi dagli archivi italiani. Francesco Boffo è forse l’unico architetto "sopravvissuto" a questa manomissione, grazie a Sergej Eisenštein, regista del famoso film "La corazzata Potëmkin"16. La maggior parte dei nomi italiani è stata rimossa dalla memoria collettiva europea durante quella fase che Anna Makolkin definisce "amnesia storica".

16 Film sovietico del 1926. Pellicola ambientata nel 1905 i cui protagonisti sono i membri dell’equipaggio della corazzata russa (da cui deriva il titolo dell’opera). Il film è una rielaborazione dei fatti realmente accaduti che portarono all’inizio della Rivoluzione russa del 2005. 



Nel passaggio qui riportato, tratto dal libro "Storia di Odessa, l’ultima colonia italiana sul Mar Nero", l’autrice illustra in modo lineare quel processo che ha portato all’eliminazione quasi totale della presenza italiana a Odessa.

5.1 TRADUZIONE DA "STORIA DI ODESSA, L’ULTIMA COLONIA ITALIANA SUL MAR NERO"


 
"Una tendenza comune nella storiografia russa in generale fu quella di cancellare il contributo italiano allo sviluppo culturale, militare, navale, economico e industriale del sud della Russia e, più in particolare, di Odessa. Uno storico zarista, Alexej Orlov, l’autore di "Istoričeskij očerk Odessy" (Saggio storico su Odessa) non pronunciò una parola sui colonizzatori italiani, ma menzionò i tedeschi, i bulgari, gli albanesi, i moldavi e i polacchi fra i cittadini stranieri (nè russi nè ucraini) di Odessa. Elencando i colonizzatori di Odessa nel 1795, Orlov fornisce i seguenti totali incompleti e scioccanti:

Ebrei…. 150 Donne….. 96

Greci…. 129 …… ….. 100

Bulgari…33 …… …. 28

Totale 1614 …… …. 746

Orlov (1885:5)


 
 
I conti non tornano. E’ stato un errore ingenuo? Chi sono gli stranieri mancanti? Perché non vengono elencati? Dove sono gli italiani? Si sono sposati tutti con ebrei, greci e bulgari? E’ strano che nel 1795 gli ebrei siano menzionati come, secondo quanto si dice, primo e fondamentale gruppo straniero a Odessa mentre, in effetti, si sa che i suoi primi colonizzatori, ufficiali, marinai, mercanti, dottori, banchieri, ufficiali di dogana, lavoratori del porto, agenti di assicurazione e polizia non sono stati gli immigrati (ebrei) dall’Austria, dalla Germania, dalla Polonia e dalla Romania, ma gli immigrati (cattolici) italiani dai diversi staterelli italiani e dal resto d’Europa, vale a dire da paesi come Austria, Inghilterra, Francia, Germania, Grecia e Turchia. Lo stesso autore, Orlov, non menzionò nemmeno un singolo straniero fra i cittadini onorari di Odessa, il che costituisce un’ulteriore omissione piuttosto evidente. Gli ebrei sparirono da questo rapporto, così come i bulgari e i greci. N.Berdiaev rilasciò alcuni dati statistici riguardo ai primi proprietari stranieri di abitazioni a Odessa nel 1797, elencando stranamente: 




Ebrei 135

Mercanti vari 110

Stranieri 224

Greci 269

(ZOOD, 1844: 864, vol.3)

Il metodo usato qui è ancora altamente discutibile. Perché i greci, i colonizzatori più numerosi, si trovano per ultimi e non fra i mercanti o gli stranieri? Chi erano i mercanti? Chi erano gli stranieri, a parte gli ebrei e i greci, e i misteriosi mercanti? Qual era l’attività degli altri stranieri? Perché gli italiani non sono stati minimamente menzionati… di nuovo?! Quasi tutti gli immigrati indesiderati vanno a finire nella categoria "altri stranieri". Si può osservare di nuovo la palese tendenza verso la semplificazione della composizione etnica e l’alterazione dell’effettiva realtà etnica di Odessa, così come il quadro sociologico della città di allora. La Russia zarista non aveva un’idea dell’etnia ebraica, il giudaismo era considerato una religione di scelta, così Orlov ha adottato un metodo sbagliato, raggruppando religione, occupazione, classe e stato.

Gettando le basi per un futuro preferibilmente con una narrazione mitologica, nazionale, storica, gli storici russi zaristi hanno riadattato le loro ricerche ad una futura artificiale immagine nazionale, con due principali elementi compositivi : la maggioranza russa e la chiara minoranza ebraica. Il desiderio e l’intenzione di ignorare il ruolo degli stranieri può spiegare la tipologia confusa di tutte le antiche tavole statistiche degli zar, dove l’occupazione, la religione e le cittadinanze erano state deliberatamente raggruppate in un unico insieme. M. Smolianinov, un corrispondente della Società dell’Antichità di Odessa ha fornito il seguente resoconto nel 1852:

Abitanti totali 16446

Truppe 8066

Gentiluomini onorari 1342

Gentiluomini ereditari 669

Stranieri 9925

Colonizzatori 2953


Mercanti 5466 34




Piccola classe commerciale 48293


 
 
Sorgono di nuovo interrogativi analoghi. Chi sono i colonizzatori e perché non sono elencati fra gli stranieri? Alcuni mercanti erano stranieri, ma alcuni stranieri erano gentiluomini onorari che avevano acquisito titoli nobiliari grazie alle loro considerevoli proprietà e al capitale investito nella Nuova Russia. L’analisi qui svolta permette allo storico di falsare i dati statistici, dando un’idea riduttiva della presenza e dell’influenza esercitata dagli stranieri. Affiancando gli stranieri ai colonizzatori, i mercanti ai nobili, i dati creano l’impressione che non ci siano stati affatto stranieri fra quelle classi elencate, e che il contributo economico fu equamente diviso fra i nativi russi e le popolazioni migranti. La mancanza di dati riguardanti le lingue, la cittadinanza e la religione degli stranieri ha prodotto un’effettiva lacuna, dove gli italiani sono andati completamente persi per sempre, la loro presenza confusa fra gli altri numerosi colonizzatori stranieri. Questa ricorrente tendenza nell’ imprecisione statistica mostra un grande disagio del governo zarista russo verso il palese e sostanziale ruolo straniero, e inizialmente soprattutto italiano, a Odessa. Ha creato le basi scioviniste per la futura storiografia russa nazionale, che ha completamente modificato la sua narrativa a favore degli slavi nativi. Rivela anche il cinismo dello stato, che ha definitivamente scelto di trascurare del tutto l’esistenza degli stranieri che sono stati fondamentali all’inizio del processo di modernizzazione e europeizzazione della Russia. Rimuovere gli stranieri nella narrativa è stata una correzione lungimirante, compiuta per il bene delle future revisioni storiche, che dipendono da tale rimozione. Le correzioni statistiche, iniziate nella storiografia zarista russa, passarono poi questo gene di amnesia storica ai sovietici, ai russi, agli ucraini, e infine alla letteratura storica italiana." [Makolkin, 2004:13-15] 

 





6. SOCIETA’ DANTE ALIGHIERI DI ODESSA: LA PRESENZA ITALIANA FINO AD OGGI
 
 
 



Abbiamo visto che gli italiani odessiti hanno ricoperto un ruolo da protagonisti nella fondazione di Odessa. Nonostante gli archivi siano stati riaperti da poco e nonostante la storiografia russa abbia cercato in tutti i modi di renderlo il meno pubblico possibile, una cosa è certa: l’Italia, ancora oggi, vive e respira nelle vie di Odessa. Sono innumerevoli i ristoranti e le cantine di vini italiani, i negozi d’abbigliamento che adottano nomi all’italiana. Al Teatro dell’Opera sono molte le rappresentazioni teatrali di compositori italiani, tutte cantate esclusivamente in lingua originale. Tutto ciò a testimonianza che il buon gusto e l’arte italiani hanno messo le radici in questa città. E l’obiettivo è quello di continuare questa lunga tradizione, anche attraverso l’insegnamento della lingua italiana alle nuove generazioni ucraine.

A questo proposito, è indispensabile citare la Società Dante Alighieri: fondata nel 1889 da un gruppo di intellettuali guidati da Giosuè Carducci, la Società ha lo scopo di diffondere la lingua e la cultura italiane nel mondo. La sede centrale si trova a Roma, ma la Società dispone di Comitati all’estero attraverso i quali istituisce e sussidia scuole, biblioteche, circoli e corsi di lingua e cultura italiane, diffonde libri e pubblicazioni, promuove conferenze, escursioni culturali e manifestazioni artistiche e musicali, assegna premi e borse di studio. I Comitati all’estero sono ben 423, diffusi in circa sessanta stati e ai quali sono iscritti più di 195.000 soci studenti [http://www.ladante.it/it/chi-siamo].

In Ucraina sono presenti al momento due Comitati, uno a Kiev e l’altro, appunto, a Odessa. La Società riunisce tutti i professori di italiano e i traduttori/interpreti, persone d’arte e di cultura, studiosi-specialisti di diverse sfere del sapere, tutti aventi a che fare con l’Italia, ma non solo: anche i comuni cittadini odessiti che si interessano e amano la cultura italiana e la sua lingua. All’interno del Comitato è presente l’unica biblioteca di Odessa di letteratura scientifica, metodica, manuali di didattica, belle lettere e opere di consultazione in lingua italiana. Si promuove lo scambio di libri e letterature con le biblioteche d’Italia; si organizzano corsi di lingua italiana, alla fine dei quali si può trascorrere un periodo di studio che va da un mese a sei mesi presso la Scuola Dante Alighieri in Italia. 
 
Si organizzano corsi di italiano in cui sono adottati manuali in lingua originale italiana, si svolgono attività di ascolto, produzione di testi scritti, ricerche per approfondire le conoscenze sulle tradizioni e sulla storia italiane. Sul piano di diffusione della lingua italiana, la Società Dante Alighieri rilascia il certificato PLIDA (Progetto Lingua Italiana Dante Alighieri), un diploma che attesta la competenza in italiano come lingua straniera. E’ un documento ufficiale che la Società Dante Alighieri rilascia sulla base di un accordo firmato con il Ministero italiano degli affari esteri in collaborazione con l’Università La Sapienza di Roma. Questo certificato prova la conoscenza della lingua italiana come lingua straniera sulla base di sei livelli, stabiliti dal Consiglio Europeo, da un livello elementare A1 (essere in grado di utilizzare la lingua italiana nelle situazioni di tutti i giorni) al più alto livello C2 (riuscire a parlare fluentemente la lingua a livello di un madrelingua acculturato che sa adattarsi ad ogni sfera professionale). Esistono altri due certificati specifici: il PLIDA juniors, destinato agli adolescenti in età dai 13 ai 18 anni. La sua struttura non si differenzia dagli altri certificati PLIDA, ma come preparazione all’esame si affrontano temi più inerenti all’adolescenza. E il PLIDA Commerciale, creato per persone che utilizzano la lingua italiana nella sfera del commercio e delle finanze.  Ho deciso di inserire come ultimo questo capitoletto per dimostrare che, da oltre duecento anni il sapere italiano e la cultura ucraina sono collegati in modo profondo e destinati a durare. La presenza di questa Società letteraria italiana che opera su territorio ucraino da ormai diversi anni è la prova che italiani e odessiti hanno sempre collaborato e tuttora collaborano attivamente affinché né la memoria del passato italiano della città, né la cultura italiana di oggi siano dimenticate.




BIBLIOGRAFIA 
 
 
Deribas, A. 1913. Staraja Odessa. Kiev: Mistentzvo

Makolkin, A. 2007. The Nineteenth Century in Odessa. New York: The Edwin Mellen Press

Makolkin, A. 2004. A History of Odessa, the Last Italian Black Sea Colony. New York: The Edwin Mellen Press
























3 commenti:

  1. Sono da Bulgaria ,ma noi ,i Bulgari siamo per lo piu di origine slava come i Russi e come gli Ukraini.Adoro profondamente l'Italia e gli Italiani.Adoro profondamente la lingua ,spiritualita,cultura italiana.La bella Odessa si trova all'altra estrmita della penisola balcanica e deve essere vista come la geografica controparte della bellissima citta italiana Trieste.Concordo completamente che gli Italiani prestino questo straordinario fascino italiano in ogni posto dove vanno a differenza dei Turchi,dei Taters,degli Zingari ,i quali impartiscono volgarita,rovinano e distruggono ogni luogo dove hanno messo piede...

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  2. Scusate per favore ,avevo in mente la parola Estremita ,non Estrmita.

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  3. Sarebbe utile se chi ha scritto la tesi mettesse il suo email,
    per scrivere, al di fuori di qui.
    A me servivano dei chiarimenti, magari li ha. Chissà!

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