STORIA

 Interessantissimo sito dedicato all'architettura storica di Odessa, anche se ha la pecca di ignorare (almeno per il momento) quasi del tutto i tantissimi architetti italiani che hanno massimamente contribuito a disegnare la città

http://archodessa.com/




Su Odessa:
http://books.google.it/books?id=GI8trl77LwgC&pg=PT6&lpg=PT6&dq=giuseppe+de+ribas&source=bl&ots=klEVWvQ41V&sig=XduFdj5yp1awp0wUhZKqkOQKVr8&hl=en&sa=X&ei=Tak5U_igHYi34wSlg4CACg&ved=0CHEQ6AEwDg#v=onepage&q=giuseppe%20de%20ribas&f=false


Sull'incredibile destino degli italiani di Odessa e Crimea si legga:

L’olocausto degli italiani in Crimea
Di Franca Poli, il  - # - 5 commenti
Ereticamente_FioriQuesta è la storia dimenticata di una minoranza di Italiani che si stabilì in Crimea fin da tempi antichissimi. Le prime presenze risalgono addirittura all’Impero Romano, per arrivare alla Repubblica di Genova e Venezia. Nella storiografia ufficiale si tende a ricordare il fenomeno delle migrazioni per l’importante dialogo culturale e commerciale tra Paesi, si tende in generale a ricordarlo per gli altri popoli, tranne che nel nostro caso, perché del nostro sterminio, della nostra deportazione, del nostro olocausto nessuno ha mai raccontato e tutto è ancora avvolto nell’oblio. Nel tempo, sul mar Nero, a Odessa e dintorni si era insediata una folta comunità di Italiani, si parlava il dialetto genovese e la via principale era chiamata appunto la “strada italiana”. Il flusso migratorio maggiore però si riscontrò tra il 1830 e il 1870, quando giunsero in Crimea, nel territorio di Kerch, città portuale che collega il Mar Nero e il Mar d’Azov, due intensi flussi migratori dall’Italia, attirati dalla possibilità di lavorare fertili terre e di trarne guadagno. Si trattava di circa duemila persone provenienti soprattutto dalla Puglia (in maggioranza da Trani e Bisceglie), ma anche dal Veneto, dalla Liguria e dalla Campania, erano italiani poveri dediti principalmente all’agricoltura. Partivano verso quello che per loro appariva come un nuovo Eldorado: clima mite, terre fertili, mari pescosi. E così, per affrancarsi dalla miseria, in cerca di migliori condizioni di vita, queste migliaia di italiani raggiunsero la Crimea, e furono accolti a braccia aperte. La terra costava poco, acquistavano appezzamenti fertili e si arricchivano, facendo quello che sapevano fare: coltivare e commerciare i loro prodotti. La comunità si inserì perfettamente nel tessuto locale e anzi, in pochi decenni, divenne una delle più ricche e ammirate grazie alle sue grandi capacità imprenditoriali e commerciali. Intorno al 1855 si aggiunsero anche molti dei bersaglieri mandati a combattere in Crimea da Cavour che dopo la guerra avevano deciso di trattenersi e di stabilirsi in zona, insieme ai connazionali. Gli Italiani conservavano le loro tradizioni e usanze regionali, tutta la nostra italianità fu trasferita di sana pianta, compresa la religione cattolica, col tempo il loro gergo mutò in un misto di russo e pugliese ma non persero le origini, le tradizioni e la loro cucina rimase del tutto italiana. I nostri contadini seppero trasformare quel pezzo di territorio incolto in zona fertile, ricca di ortaggi, frutta e vigneti, e impararono a produrre persino un tipo di champagne molto gradito allo zar.
Quando scoppiò la rivoluzione di ottobre, i più lungimiranti tornarono in patria, per gli altri fu l’inizio del calvario. Furono circa 3500 persone quelle che decisero di restare e accettare le nuove condizioni dettate dal governo di Mosca. La storia della piccola comunità in Crimea si intrecciò con la complessa tragedia del comunismo sovietico. Nell’ambito del piano di collettivizzazione delle campagne, le autorità sovietiche promossero nei pressi di Kerch la costituzione di un colcos italiano dal suggestivo nome “Sacco e Vanzetti”. I nostri connazionali, piccoli proprietari terrieri, provarono a resistere e continuarono a lavorare alacremente la terra come sapevano fare loro, senza adeguarsi troppo alle restrittive regole di quella che era una specie di cooperativa agricola di produzione. Accadde così che nel fallimentare deserto della collettivizzazione sovietica, il colcos italiano primeggiò e superò tutti gli obiettivi pianificati risultando, grazie all’efficienza dei nostri agricoltori, il più produttivo di tutta la Crimea.
Questa prerogativa fu causa, insieme alla relativa agiatezza dei coloni e alla religione professata, di invidie e sospetti. Furono proprio i dirigenti italiani del Comintern che cominciarono a tenere sotto stretto controllo la comunità di Kerch, in quanto le qualità degli italiani, la loro capacità produttiva, la relativa indipendenza dai nuovi dettami che riuscivano a conservare nel lavoro, risultava essere poco consona alla disciplina del partito. Proprio per educarli ai nuovi metodi, fu inviata a Kerch una delegazione speciale di controllo col compito di svolgere “propaganda antifascista” e di chiudere la chiesa. Capo della missione rieducativa, che poi si rivelò punitiva, fu Paolo Robotti, cognato di Togliatti, presidente del “club degli emigrati” a Mosca e responsabile delle innumerevoli sparizioni di connazionali, avvenute durante le purghe staliniane grazie ai suoi verbali delatori consegnati a chi di dovere. Di ritorno a Mosca, dopo l’importante incarico avuto, scrisse nel suo resoconto di aver sistemato al meglio la situazione al colcos italiano, di aver dato la giusta impronta in modo che avrebbe ripreso nuova vita e prosperità, di aver chiuso la scuola religiosa e rispedito il prete in patria.
In realtà la visita di Robotti rappresentò il primo atto della tragedia degli italiani in Crimea. La “pulizia”, da lui guidata con l’ausilio degli agenti del NKVD, condusse alla deportazione di intere famiglie, alla divisione e lacerazione di altre e alla sommaria esecuzione di molti innocenti.
Giuliano Pajetta, quasi ragazzo, alla sua prima esperienza in URSS racconterà in seguito in un libro di memorie: « (…) la cistka al “Sacco e Vanzetti” si rivelò un’operazione dolorosa con molti strascichi penosi (…) quella notte, tornato a casa, fui colto da un cattivo pensiero, avevo una pistola, e, scosso da ciò cui avevo assistito, pensai di puntarmela alla tempia e farla finita ». Era Pajetta al suo primo incontro con la realizzazione del socialismo sovietico e con la spirale di sangue che questa metteva in atto. Fu fortunato, però, perché la tentazione di farla finita gli passò subito dato che non fu trattenuto in Russia e, tornato a Parigi, poté leggere su un giornale comunista francese quanto fosse stato giusto il suo operato: “Il gruppo dirigente del colcos Sacco e Vanzetti era stato smascherato e punito” e venivano elencati i cognomi dei responsabili fucilati, ne citiamo alcuni: Bisceglie, Puglia, De Martino, Carbone, Cassinelli, a testimoniare la loro origine senza ombra di dubbio italiana.
Il momento più tragico della storia di queste comunità italiane si ebbe comunque dopo l’occupazione tedesca della penisola di Crimea, dove anche Mussolini aveva mandato un reparto della X flottiglia Mas. Le truppe italiane si stabilirono a Mariupol e insieme ai tedeschi parteciparono a numerose sortite sul Mar Nero fino a quando, dopo una decina di mesi, l’armata rossa li sconfisse in modo definitivo e lasciarono il territorio. La comunità italiana dopo questo periodo subì le peggiori ritorsioni possibili da parte dei sovietici. Kerch, Mariupol e Simferopol, su cui si erano già abbattute le precedenti cistke, furono accusate di collaborazionismo e vennero decimate. Le esecuzioni e le deportazioni tornarono all’ordine del giorno. Furono almeno duemila i connazionali caricati sui treni per estenuanti viaggi e marce forzate verso il Kazakistan, male equipaggiati, affrontando temperature assolutamente insostenibili, chi riuscì a sopravvivere raggiunse il gulag: i maltrattamenti, le sofferenze, le malattie e in seguito, quasi sempre, la morte.
In questo contesto tragico si inserisce una storia che colpisce particolarmente. Pia Piccioni, marchigiana, era sposata con Vincenzo Baccalà, amico di Gramsci ed esponente del partito comunista italiano. Entrambi attivi politicamente, dopo l’avvento del fascismo erano emigrati a Parigi. Avevano già tre bambine quando Togliatti li “spedì” in Russia. Il trasferimento ha un sapore punitivo perché il carattere del Baccalà era piuttosto spigoloso, un personaggio inquieto e impulsivo che certamente non rientrava nelle grazie del “Migliore”, tanto da indicarlo nel suo elenco di persone da allontanare con l’appellativo di “Merluzzo secco”. Il suo trasferimento e il nuovo incarico come propagandista tra i marinai italiani di Odessa non gli doveva piacere troppo e lui non fu capace di nasconderlo, tant’è che una mattina, inaspettatamente -era il 19 febbraio 1937- vennero a bussare alla sua porta, lo prelevarono e la moglie non lo vide mai più.
Pia Piccioni andò a Mosca a chiedere notizie del marito in più occasioni, fino a quando qualcuno le sibilò che con ogni probabilità “suo marito aveva un’altra donna” e lei fece ritorno in Italia. In realtà Vincenzo Baccalà era già morto, fucilato a fine novembre 1937. La moglie seppe la verità soltanto nel 1991 quando, nel mese di luglio, ricevette una comunicazione della Croce Rossa che la informava dei fatti avvenuti allora, la informavano anche che il marito era stato riabilitato, dunque non aveva tradito il “comunismo” e il suo “onore” era salvo, ma mai fu possibile per la vedova individuare un luogo di sepoltura. La signora Pia nel corso degli anni aveva cercato in tutti i modi di avere notizie del marito e si era rivolta inutilmente al partito per sapere se fosse stato deportato in un gulag. Aveva chiesto l’autorizzazione a pubblicare un diario in cui raccontava la sua triste storia, ma non ebbe riscontro alcuno. Domandò aiuto anche alla moglie di Togliatti, Rita Montagnana, che aveva conosciuto in Russia, la quale le assicurò il suo appoggio, infatti qualche tempo dopo, grazie all’interessamento di Longo che aveva letto il suo diario, venne convocata nella sede del comitato centrale del PCI dove Roasio e Lampredi, entrambi reduci dalla Russia, le dissero testualmente che da loro mai nulla sarebbe stato fatto contro l’Unione Sovietica, togliendole ogni speranza. Il suo libro di memorie venne pubblicato, tramite Milano Leonardo, solo quando lei era ormai una innocua vecchietta di oltre novant’anni. Dopo il crollo dell’impero sovietico e le persecuzioni subite, gli Italiani residenti a Kerch da qualche migliaia iniziali erano ridotti a poche centinaia.
Oggi sono in tutto meno di 400, hanno costituito il circolo culturale “Il Cerchio”, dove la infaticabile presidente Giulia Giacchetti Boico tiene vivo il lume delle origini. Predispone corsi di lingua italiana, intrattiene rapporti culturali col nostro Paese, organizza scambi di studio per i ragazzi di Kerch, e si batte per ottenere il riconoscimento alla cittadinanza italiana e lo status di minoranza deportata all’intera comunità. Da qualche anno l’associazione, il 29 gennaio, per non dimenticare gli Italiani uccisi o scomparsi, tiene a Kerch la “Giornata del Ricordo Italiano”, organizzando una toccante cerimonia col rito dei garofani rossi gettati nel Mar Nero congelato. È a dir poco commovente l’ adesione conservata e rinnovata alle tradizioni di origine e a un Paese che, almeno finora, non si è meritato tanto attaccamento, visto che non mi risulta che l’Italia ufficiale si sia ancora fatta viva per riconoscere e ricordarsi di questi Italiani prima perseguitati e poi ignorati. di: Franca Poli


e anche:

http://www.memorialitalia.it/2010/05/09/per-la-storia-degli-italiani-di-kerc-la-famiglia-pergolo/



http://www.monarchia.it/download/Giulio_Vignoli_La_Tragedia_Sconosciuta_degli_Italiani_di_Crimea.pdf



 Per la storia di Odessa, alla quale hanno dato un importante contributo molti italiani, tra cui Giuseppe De Ribas, cui è dedicata la via principale della città, consigliamo i siti internet:

http://garibaldi.onu.edu.ua/

del Centro di cultura e storia italiana Giuseppe Garibaldi. Offre una pagina sintetica e chiara in lingua italiana, dai tempi dell'ascesa di Roma fino all'indipendenza dell'Ucraina passando per il periodo delle colonie veneziane e genovesi.

  E' invece quasi interamente in lingua russa un altro sito che dedica interessanti capitoli alla storia italiana della città:

http://www.lavita-odessita.narod.ru/

  Si racconta delle società e organizzazioni italiane in città, del contributo dei partigiani sovietici alla Resistenza italiana, delle colonie italiane nel Sud della Russia, della Società Dante Alighieri, della toponomastica di alcune vie cittadine.

  Importante ricerca di Ludmila Demjanova sulla Società Italiana di Beneficenza a Odessa, disponibile presso il Centro Garibaldi di cui sopra. La società fu fondata nel 1863 e il libro documenta l'attività di sostegno economico e logistico alla colonia di italiani presenti in città con un utilissimo indice di nomi e cognomi in appendice. Le numerosissime oblazioni del 1902 testimoniano come ancora a inizio secolo gli italiani fossero presenti in gran numero a Odessa.



Interessantissimo il libro di Aleksandr Deribas, pronipote di Giuseppe Deribas, "Staraja Odessa". In russo, è una raccolta di articoli di periodici, ricerche di archivio, ricordi personali, fatti storici. Edito da Optimum.


  Una ricerca approfondita è contenuta nel libro, in lingua inglese:

  A History of Odessa, the Last Italian Black Sea Colony, Anna Makolkin, Edwin Mellen Press, 2004

  I titoli dei capitoli, da noi tradotti in italiano, sono i seguenti:

  1) Un tipico caso di amnesia storica
  2) La predestinazione italiana
  3) La faccia italiana di Odessa: l'architettura
  4) La realizzazione di un porto franco russo
  5) Porto franco e dialogo culturale
  6) Il profilo di un immigrato italiano
  7) L'arte e la musica italiana a Odessa
  8) Sacerdoti e sacerdotesse teatrali a Odessa
  9) Martirio di immigrazione
 10) Morte e funerale simbolici della colonia italiana

  La tesi del libro è che gli italiani  non solo abbiano fondato la città e lasciato profonde testimonianze della loro cultura, ma che con la loro presenza abbiano contribuito in modo decisivo a creare un clima e una cultura europea.

  Il prezzo è impegnativo, sui 90 euro


  Sempre della stessa autrice, Anna Makolkin, sul blog http://www.lifebeyondtourism.org/ , è apparso un articolo sintetico dedicato al tema che noi abbiamo tradotto dall'inglese:

Odessa, l’ultima colonia italiana nel Mar Nero
“La città di Odessa, situata nel sud dell’Ucraina sul Mar Nero, fu fondata nel 1794 da immigranti di Genova e Napoli, Venezia e Palermo. Il luogo preciso dove nacque la città è stato individuato e segnato per la prima volta da Stefano De Rivarola, un diplomatico italiano in Russia.
  Il primo governatore di Odessa fu il napoletano di nascita Giuseppe De Ribas (1749-1800). Durante i tre anni della sua amministrazione (1794-1797) riuscì a costruire una città vibrante, i cui primi coloni, promotori ed effettivi fondatori furono italiani.
  Artisti, scultori, commercianti e musicisti di Genova, Livorno, Siena, Napoli, Venezia e della Calabria fluirono a migliaia in questa nuova “Europa” in cerca di una vita migliore e nuove opportunità lavorative.
  La dogana, il molo, il porto, i palazzi residenziali e l’Opera furono costruiti simultaneamente da coloni italiani che eseguivano i progetti di architetti italiani, utilizzando materiali di costruzione provenienti da Napoli, Genova e Livorno.
  I primi fondatori italiani del porto franco russo includono le seguenti famiglie: De Ribas, Venturi, Buba, Rocco, Trabotti, Grimaldi, Frapolli, Inglesi, Gatorno e Gaius.
  La corrispondenza del porto, i controlli doganali e le operazioni di commercio venivano tutti condotti in italiano, la lingua franca della costa del Mar Nero fino alla fine del 19. secolo.
  Solo nel 1853 la colonia italiana di Odessa iniziò a disgregarsi a causa del ritorno in patria e della crescita dell’Impero Russo. Le famiglie chiave sul campo erano Ralli, Gerbolini, Rocco, Gorini, Zafiri, Trabotti, Porro, Rossi e Gari. L’intero Impero Russo beneficiò dell’ultima colonia italiana di Odessa.
  I primi coloni italiani mutarono radicalmente il corso culturale di Odessa per i secoli a venire. La lingua italiana rifletté non tanto la situazione demografica, quanto piuttosto il potere politico, economico, sociale e culturale di cui i coloni italiani godettero sin dalla fondazione di Odessa. Tutte le posizioni chiave nel settore bancario, nella navigazione, nell’amministrazione postale, nelle spedizioni marittime e nelle diverse industrie erano detenute da italiani.
  La lingua italiana prevalse non solo nel commercio e nel mondo degli affari, ma sarebbe stata l’idioma preferito nei saloni aristocratici, all’opera, nelle scuole e per strada. Nello specifico russo di Odessa le tracce dell’italiano rimangono addirittura oggi.
  I primi coloni italiani hanno affermato tradizioni europee assolutamente uniche in questa città perlopiù non-russa, non-sovietica e non-ucraina, segnando profondamente non solo il porto e le spedizioni marittime, ma anche le istituzioni culturali. Odessa sarebbe diventata la sede dei 18 collegi, il centro degli Studi italiani in Russia, un prominente centro per lo studio delle scienze umanistiche e naturali, con la più sviluppata istruzione musicale, teatrale e artistica. “Qui tutto respira Europa” (Alexandr Pushkin).
  L’italianità di Odessa sarebbe diventata una sorta di argomento tabù nella dibattito storico su Odessa. La storia dell’immigrazione italiana sul Mar Nero è stata cancellata dalla storiografia per lungo tempo.
  L’immagine mediterranea di Odessa fu formata dalle brillanti creazioni di Boffo, Bernardazzi, Frapolli, Toricelli, Digby, e Delia Acqua e altri architetti italiani.
  Trovando una casa lontano da casa, gli immigranti italiani portarono in Russia un tipo di vita mediterranea e una sensibilità culturale sconosciute al resto del Paese.”


Un successivo libro di Anna Makolkin è dedicato alla colonia italiana di Odessa nel 19. secolo. E' stato recensito da http://www.storia.net/
The Nineteenth Century in Odessa. One Hundred Years of Italian Culture on the Shores of the Black Sea (1794-1894), di A. Makolkin - The Edwin Mellen Pres, New York 2007, pp. 230, $ 109.95

L'obiettivo di Caterina di Russia era di farne la San Pietroburgo sul Mar Nero, il contraltare meridionale della grande, ricca e culturalmente elevata capitale affacciata sul Mar Baltico. Ci riuscì, ma il progetto andrà definitivamente in porto tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo, quando a creare dal nulla la nuova Odessa, un tempo insediamento greco e poi fenicia, giunse un'importante colonia italiana di artisti e architetti. A loro, e al secolo di splendore vissuto lungo tutto il XIX secolo, Anna Makolkin, studiosa dell'Università di Toronto, ha dedicato un libro bello e appasionato che, se non fosse per la difficoltà della lingua, molti italiani dovrebbero leggere per ritrovare un po' di quella forza e di quell'entusiasmo che nei secoli passati hanno fatto grande la nostra penisola e il nome dell'Italia (e degli italiani) nel mondo. Chi ancora oggi visiti Odessa, spiega l'autrice, non potrà non cogliere nell'architettura cittadina e nella disposizione urbanistica impressioni che rimandano a Torino, Genova e Roma. Soprattutto nel Teatro dell'Opera, vero cuore pulsante della città, realizzato da Francesco Frapolli e per molti aspetti simile al Carlo Felice di Genova. Ma anche nelle numerose collezioni d'arte, opera di vedutisti e scultori italiani (come Francesco Morandi) che qui soggiornarono a lungo. Per non parlare della lingua italiana che, fino all'avvento della dittatura sovietica, fu qui, come in numerosi altri porti affacciati sul Mar Nero, una sorta di lingua franca portata da marinai veneziani e genovesi.
Città cara a Puskin, Odessa ha vissuto a lungo il fascino cosmopolita di un insediamento slegato dal contesto slavo in cui geograficamente è ubicata, riuscendo a trasferire e a diffondere in oriente valori e cultura cari all'occidente. «The Italian founders of Odessa, as her invited settlers - scrive l'autrice -, were a unique sociocultural phenomenon, a grand precedent in the history of migrations when a hostsociety had voluntarily temporarily surrendered its cultural leadership to the first foreign settlers. For nearly a century, the Odessa Italians were allowed to function in their own native Italian in several areas, having secured their own immigrant success and having accomplished the most successful exploration of the last European frontier. They had not only fulfilled their original mission of building a European modern city in the new Russia: they had also managed to reconnect it with the rest of the continent. They brought the West to the East and much more».


 

Molto interessante anche il seguente articolo:



LE TRACCE ITALIANE SUL MAR NERO





In principio soprattutto veneziani e genovesi, ma poi anche napoletani e livornesi hanno contribuito, nei secoli, alla costruzione e all’arricchimento culturale di diverse città del’Ucraina, in particolare Odessa



Heorhii Cherniavskiy*
 
 
 
 



Esistono prove di antiche relazioni tra gli italiani e gli ucraini? Probabilmente non se ne parla spesso, eppure, se torniamo al passato, è possibile verificare come gli italiani si siano recati nella parte settentrionale del Mar Nero sin da tempi remoti. Cacciati, ritornarono nuovamente in quelle terre piene di fascino.
Le prime penetrazioni dei romani sul basso Danubio (la frontiera meridionale dell’attuale Ucraina) sono datate intorno al primo secolo a.C. Nondimeno dopo il tramonto dell’Impero romano, gli italiani sono tornati nella regione del Mar Nero soltanto verso la fine del XII e l’inizio del XIII secolo, quando i genovesi, facendo concorrenza ai veneziani, cercavano di ampliare le proprie rotte commerciali attraverso lo stretto di Bosforo e dei Dardanelli, con lo scopo di fondare nuove colonie sulle rive della penisola della Crimea e nel nord del Mar Nero.
Dopo le crociate, accrescendo l’ambito delle proprie operazioni commerciali, i genovesi, nel 1266, ottennero dal knan dell’Orda d’oro, a Crimea, la città di Caffa (l’attuale Feodosia). Più tardi si impossessarono di altre città della penisola di Crimea, dando loro nomi italiani: Cembalo (l’attuale Balaklàva), Cherchinitida (Eupatòria, subito diventata centro commerciale che competeva con Feodosia), Soldaia (l’attuale Sudak, dopo aver cacciato i veneziani), Vosporo o Cerchio (sul territorio dell’attuale città di Kerc), Gialite (Yalta) e Ginestra (oggi nel comprensorio di Odessa).
Del periodo genovese in Crimea sono rimasti conservati fino ad oggi i resti delle mura di fortezze a Caffa, a Cembalo, una fortezza a Soldaia e a Bilgorod-Dnistrovski (Moncastro), che si trova nelle vicinanze di Odessa.
Di queste e di altre bellezze dell’attuale Ucraina si tratta in questo saggio.
La città di Sudak (Soldaia) fu fondata, presumibilmente, nel 212 dalle tribù venute dall’Iran. Facendo parte di Bisanzio, Soldaia all’inizio del XIII secolo si trovava sotto il controllo del regno dell’Orda d’oro, essendo già iniziata la rivalità per i porti sulle rive del Mar Nero tra Venezia e Genova.
Alla fine del XIII secolo i veneziani si stanziarono a Soldaia, cionondimeno dopo l’affermazione della religione musulmana nell’Orda nella prima metà del XIV, la popolazione cristiana fu cacciata dalla città e le mura furono distrutte.
Approfittando delle guerre intestine dell’Orda nella prima metà del XIV secolo, nel 1365 a Sudak giunsero i genovesi, che cominciarono a ricostruire la città, dandole il nome “Soldaia”. Il posto rinacque: bisogna tener presente che attraverso la baia di Soldaia passava la Via della seta, e dunque numerose attività vennero avviate e questo favorì un veloce sviluppo della regione.
La storia, tuttavia,  portò i genovesi a lasciare la penisola verso fine del Quattrocento. Soldaia diventò parte dell’Impero osmano, conservando, però, una memoria indimenticabile dei genovesi: la sua fortezza, in quegli anni, era la più sicura del Mar Nero.
L’ubicazione ben scelta e le fortificazioni della costruzione, che aveva due file di torri e una superficie di circa 30 ettari, la resero inaccessibile: irraggiungibile dall’ovest, protetta da sud e da est dalle montagne a strapiombo che scendevano verso il mare e cinta a nord-est da un fossato. Una delle pareti è fortificata con 14 torri, ciascuna delle quali è stata nominata secondo il nome del console incaricato da Genova: abbiamo conferma di ciò da alcune tavolette con lo stemma di Genova e l’iscrizione in latino.
La fila superiore della linea difensiva comprendeva ancora altre torri e un Castello consolare con una torre di pattuglia. Tra le due file della fortezza si ubicava la città.
Un atro complesso di tipo militare e ben conservato sino ai giorni nostri è la fortezza alla città di Bilgorod-Dnistrovski, chiamata dai genovesi Mon(te)castro. Chissà se al modo c’è un altro posto che nella sua millenaria storia abbia cambiato tante volte il proprio nome: Ophius, Tiras, Ak-Libo, Chetatea-Alba, Alba-Iulia, Album Castum, Feger-Var, Ak-Kerman...
La città risale al VI secolo a.C. e dapprima fu nominata Ophius. Quando l’Impero romano conquistò la Dacia, avanzò fino al Danubio, facendone la frontiera settentrionale. L’avamposto dell’Impero diventò Alba-Iulia (il nome della città dell’epoca), qui svolgevano il servizio militare i soldati della Quinta legioMacedonica e della Prima legio Italica.
Il periodo dell’impero stava per finire e ondate di popoli nomadi cominciarono spesso ad attraversare le frontiere romane, per incrinare il grande impero e distruggerlo. Nella prima metà del III secolo Alba-Iulia fu conquistata dai barbari goti, che in breve cominciarono a costruire a Moncastro la loro flotta, continuando le scorrerie nelle province romane.
Dal 1241 la città fu presa dai tatari che, però, non si trattennero a lungo. Avendo necessità di mezzi per lottare contro le altre tribù, la vendettero ai genovesi che col tempo cominciarono a costruire la fortezza, nominandola Moncastro. Alla fine del Quattrocento Bilgorod (il nuovo nome fu Chetatia Albe, o Feger Var) faceva parte del Principato di Moldova i cui padroni assicurarono il rinnovo delle vecchie e la costruzione di nuove fortificazioni. Sulle pietre delle mura sono incisi gli anni 1399 e 1432.
All’infuori di queste due strutture di natura unicamente militare, costruite dai genovesi, bisogna dire che anche nei secoli successivi gli italiani non dimenticarono la regione di Mar Nero.
La perla genuina del Mar Nero, la cui storia è strettamente legata all’Italia, è la città di Odessa.
Per la prima volta gli italiani sono menzionati nei secoli XIII–XIV, quando sul territorio della città odierna fu ubicato l’ancoraggio delle navi genovesi chiamato Ginestra, forse per la pianta di ginestra molto diffusa nelle steppe del Mar Nero.
La nuova affluenza degli italiani nel Sud dell’Ucraina crebbe particolarmente con la fondazione di Odessa. Tutto questo fu facilitato del fatto che alla guida dell’appena fondata capitale del bacino del Mar Nero c’era un cittadino italiano di origine spagnola Jose De Ribas, in carica fino al 1797.
Nei primi anni del Novecento la diaspora italiana cominciò ad avere un ruolo importante nella vita pubblica e commerciale della città. La lingua italiana iniziò a diffondersi e con il passare del tempo entrò nella sfera delle comunicazioni degli uomini d’affare: conti, cambiali, assegni, contratti, corrispondenza commerciale, contabilità – tutto era scritto in italiano. Inoltre, il bisogno di conoscere le lingue straniere – tra cui l’italiano – portò all’insegnamento di russo, greco e italiano nella prima scuola di Odessa fondata in 1800.
All’inizio del XIX secolo la colonia italiana era composta in primo luogo da commercianti, marinai e militari in servizio nell’Armata russa. Principalmente napoletani, genovesi e livornesi. Seguirono rappresentanti dell’arte, artigiani, farmacisti e insegnanti di varie materie.
Dal 1798 ad Odessa erano presenti i consoli di Napoli, della Sardegna e della Corsica. Successivamente il consolato di Sardegna fu trasformato in consolato italiano.
Ad Odessa gli italiani furono anche proprietari di panifici, fabbriche di pasta e gallette e più tardi nel periodo 1794-1802 sorsero le prime società commerciali di proprietà italiana. In seguito gli italiani diventarono titolari di ristoranti, caffetterie, pasticcerie, casinò, alberghi. Alcuni di loro operarono fino all’inizio del Novecento. Per esempio, il lussuoso locale Fanconi, caffetteria-pasticceria, fondata ad Odessa negli anni ‘70 del XIX secolo, conquistò un enorme prestigio.
I gioiellieri, gli scultori e i marmisti italiani furono celebri ad Odessa sin dalla sua fondazione e fino alla rivoluzione del 1917. I cognomi italiani, ancora oggi, vengono spesso associati agli architetti. Molti edifici meravigliosi di Odessa furono costruiti appunto da italiani, e non solo architetti ma anche appaltatori, costruttori, carpentieri ebbero una parte importante. Senza di loro il genio dell’architetto non poteva trovare forma.
Gli italiani giocarono una parte importante anche nell’avvio del teatro ad Odessa. Persino oggi, guardando il repertorio del teatro lirico e del balletto di Odessa, si mantiene il tributo alla tradizione italica.
L’insegnamento ampiamente praticato della lingua italiana contribuì alla comparsa di una serie di manuali e testi scolastici e si può sicuramente dire che Odessa procurò non solo per l’Ucraina ma anche per la Russia i mezzi di studio della lingua italiana.
Nel 1905 Sperandeo (professore dell’Università di Novorosiysk, insegnante di italiano e presidente dal 1901 del comitato di Odessa della società nazionale italiana di Dante Alighieri, rimasto in città fino alla rivoluzione del 1917) contò ad Odessa 50 cittadini italiani: altri 600 secondo lui furono gli italiani soltanto di nome.
La rivoluzione di 1917 fece ripartire molti italiani per l’Italia, o per altre città dell’Europa. In epoca sovietica solo poche decine erano gli italiani ad Odessa, la maggior parte dei quali quasi non conosceva la propria lingua.
Riassumendo bisogna dire che la cultura italiana ha notevolmente inciso sullo sviluppo del sud del’Ucraina e che tali informazioni sono diventate la base di ricerche degli storici contemporanei dedicate proprio alle colonie italiane sul Mar Nero.


*Dice di sé.
Heorhii Cherniavskiy. Ambasciatore plenipotenziario e straordinario di Ucraina nella Repubblica Italiana, San Marino e Malta (2005). Nel corso della sua carriera ha ricoperto diverse cariche nella Verkhovna Rada (Parlamento ucraino). Nell’amministrazione del Presidente di Stato ha ricoperto la carica del Capoufficio del Servizio di Protocollo nel gabinetto dei tre primi presidenti del Paese. Si appassiona agli argomenti nell’ambito culturale, relazioni internazionali, storia, filatelia.



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